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Pubblico e privato nei moderni sistemi di welfare - Massimo Paci - copertina
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Dettagli

1989
1 gennaio 1989
172 p.
9788820718084

Voce della critica


recensione di Saraceno, C., L'Indice 1990, n. 5

In questo volume Paci ripropone una serie di riflessioni che in questi anni è venuto svolgendo in tema di welfare state e di welfare society. Non si tratta tuttavia di una semplice raccolta di saggi, raggruppati nei temi che costituiscono le tre parti di questo libro ("Un confronto tra i sistemi di welfare occidentali", "Il 'caso italiano'", "Prospettive teorico-politiche", con una appendice su "Richard Titmuss e i valori dell'altruismo e della solidarietà") e giustificati da una introduzione. Benché della origine, o forma, della " raccolta" il volume in parte soffra le consuete ridondanze e il procedere a sbalzi, in realtà esso è anche nuovo: non solo perché l'introduzione e il capitolo conclusivo offrono nuove chiavi di lettura del materiale riproposto e propongono ulteriori elementi di analisi, ma perché gli stessi vecchi saggi sono stati in parte riscritti sotto lo stimolo delle acquisizioni teoriche e metodologiche maturate dal loro autore in questi anni. Innovazioni che lo hanno portato da un lato ad interrogarsi sulla specificità del discorso sociologico in tema di welfare state, dall'altro a formulare alcuni elementi di una teoria sociologica adeguata, a spiegarne forme di sviluppo, strutture, motivi e modi della trasformazione.
Questo parziale lavoro di riscrittura lascia il lettore, che già conosceva i materiali che lo hanno motivato, con il rimpianto che Paci non abbia voluto procedere ad un lavoro più ambizioso: scrivere ex novo un libro su questo tema, senza mostrarci, per così dire, le scorie di un work in progress. Anche se, come tale, questo libro potrebbe essere un utile e interessante materiale per analizzare attraverso quali strade non sempre lineari, lungo quali progressive approssimazioni, ma anche contaminazioni, con quali arricchimenti e con quali perdite, o abbandoni, viene definito un campo di indagine e un modello interpretativo. In questo caso, come si è venuto costruendo entro la sociologia (o almeno una sua parte) il campo analitico "welfare state-welfare society" e quali tipi di spiegazione sociologica siano stati forniti della nascita e sviluppo delle società di welfare.
Osserva Paci all'inizio di questo volume che, all'interno della consistente letteratura scientifica sui welfare states contemporanei, un punto di vista, un approccio specificatamente sociologico fatica a farsi strada. Nel migliore dei casi, i contributi sociologici più ambiziosi sono riusciti da un lato a mettere a fuoco quell'insieme di fenomeni che, in verità un po' confusamente - e lo stesso Paci non chiarisce - vanno sotto l'etichetta di terzo settore (in cui vengono ammassati fenomeni eterogenei quali la famiglia, l'azione volontaria, le cooperative di solidarietà sociale, l'associazionismo), mostrando i limiti sia del cosiddetto paradigma economico-strutturale sia quello politologico-istituzionale. Dall'altro lato hanno mostrato la non univocità, bensì la varietà, l'intreccio delle forme di regolazione sociale: un intreccio che è stato studiato in particolare per il caso italiano (cfr. il volume "Stato e regolazione sociale" curato da P. Lange e M. Regini), ma che come ipotesi di ricerca può valere, e in effetti Paci suggerisce che valga, per tutti i sistemi storici di welfare e per le loro vicende nel tempo.
È in questa prospettiva, infatti che Paci propone di sostituire, insieme a livello concettuale e come definizione del campo di analisi, alla categoria di welfare state, con la sua accentuazione delle dimensioni politico-istituzionali a scapito di quelle sociali, quella, appunto, di sistema di welfare, inteso come il combinarsi di attori e pratiche - di forme di allocazioni di risorse, di definizione dei bisogni, di allocazione sociale - che hanno origini, criteri, forme di legittimazione in parte diversi e concorrenziali, in parte più o meno intenzionalmente complementari. È questa combinazione - anche come particolare equilibrio/tensione nei rapporti di potere materiale e simbolico tra le diverse sfere e forme di allocazione-regolazione - che disegna la fisionomia delle società di welfare nazionali e ne motiva le trasformazioni. Ovvero, i bisogni di benessere e di sicurezza vengono, in diversi tempi e luoghi, soddisfatti da una combinazione di agenzie (famiglia, stato, mercato, associazionismo, volontariato di vario tipo, ecc.) e secondo una pluralità di criteri; anche se di volta in volta uno, o un gruppo di criteri (universalismo, piuttosto che merito, piuttosto che privilegi corporativi e così via) sembra dominare sugli altri - una dominanza che Paci suggerisce di comprendere secondo una lettura aggiornata del concetto di egemonia gramsciano.
E allora, un elemento essenziale del modello sociologico di analisi dei sistemi di welfare proposto da Paci, è la attenzione e tematizzazione della loro specificità storica (si vedano le analisi storico-comparative effettuate non già alla luce di una corrispondenza a uno o all'altro modello "logico", ma con l'attenzione alle concrete combinazioni di attori e di tradizioni socioculturali, di forme allocative-regolative, che hanno dato vita a, sorreggono, o viceversa mettono in tensione un determinato sistema). Si ipotizza, inoltre, riprendendo Hirschman, che gli assetti allocativi-regolativi che caratterizzano un dato sistema (cioè il particolare equilibrio, o forma di dominanza, che regola la combinazione delle diverse forme e criteri) abbiamo "oscillazioni" di lungo periodo.
Ma il grosso problema teorico che si pone Paci è come sia possibile, ovvero come si legittimi culturalmente, prima che politicamente, una azione solidaristica di tipo universalistico e come essa possa venir sostenuta nel tempo e non solo in periodi eccezionali, di mobilitazione collettiva (la guerra, una calamità) o all'interno di identità collettive omogenee. La distinzione tra solidarismo e universalismo è importante. Se, infatti, è la micro solidarietà quotidiana e dei rapporti interpersonali, insieme ai grandi slanci collettivi delle situazioni di emergenza, a testimoniare, secondo la lezione di Titmuss, che esistono grandi riserve di altruismo, il passaggio dalla solidarietà di appartenenza omogenea (o di emergenza) all'azione universalistica, sostenuta e garantita nel tempo, non è automatico. Paci formula il problema sia come questione di soglia critica, oltre la quale la solidarietà diviene universalismo, sia come questione di condizioni che consentono all'altruismo di riprodursi e generalizzarsi. E tenta di rispondere ad entrambe queste domande rincorrendo al concetto gramsciano di egemonia. Ovvero, l'universalismo diviene possibile quando il ceto politico, quindi la mediazione statuale, è in grado di cogliere e indirizzare sia le disponibilità solidaristiche che le domande di qualità, diversificazione, autorealizzazione . E l'altruismo, che ha le proprie radici nelle appartenenze particolaristiche, può continuare a riprodursi e divenire un bene sociale solo se adeguatamente sollecitato e sostenuto da un quadro di riferimento universalistico la cui legittimazione e continuità è affidata dall'esistenza di un adeguato meccanismo di interfaccia tra società e stato. Si tratta di linee di riflessione suggestive, anche se in parte ancora solo abbozzate. Un'ultima osservazione. Concordo con Paci che, in Italia almeno, i sociologi sono giunti tardi e quasi per caso all'analisi del welfare state. Non credo tuttavia che ciò sia dovuto al fatto che ci sia stata in Italia una opzione per la sociologia 'micro' rispetto a interessi di tipo 'macro'. E piuttosto vero che è esistito ed esiste in Italia un settorialismo degli interessi e delle sotto-discipline sociologiche che, se ha favorito il rafforzarsi di taluni settori di ricerca a livello teorico e metodologico, ha reso complicati quegli attraversamenti dei confini disciplinari che soli consentono di vedere la realtà come strutturalmente composita, mista. Non è forse un caso che tra i primi ad occuparsi in Italia di welfare state siano stati coloro che si occupavano di fenomeni non solo "disciplinarmente deboli", e perciò più disponibili a contaminazioni, ma non facilmente recintati o recintabili in settori 'puliti', con confini netti: la famiglia, il lavoro familiare delle donne, il lavoro di servizio.

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