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Vincere! Fascismo e società italiana nelle canzoni e nelle riviste di varietà (1935-1943) - Pietro Cavallo,Pasquale Iaccio - copertina
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Descrizione


Fare storia attraverso le canzoni e le riviste di varietà. Questa l'idea base del volume. Migliaia di testi di canzonette e di riviste, ricavate dagli archivi della censura fascista, ci rimandano il clima di un'Italia che passò dai fasti dell'impero alle tragedie della guerra. La canzone, con le aspirazioni e i sogni che racchiude, si rivela così uno straordinario termomentro dell'immaginario collettivo degli italiani di allora.
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Dettagli

2003
1 gennaio 2003
XIV-243 p., ill. , Brossura
9788820734442

Voce della critica

Merito non accessorio di questo libro è essere stato scritto e pubblicato una prima volta, e molto in sordina, più di vent'anni fa, quando la tradizione storiografica non era ancora propensa a studiare, da un punto di vista rigorosamente storico, materiali come le canzonette e altre "fonti basse", come invece da alcuni anni a questa parte accade regolarmente e spesso con ottimi risultati. La storiografia d'allora era così lontana dall'idea di cercare le proprie fonti nel campo dei prodotti di consumo culturale di massa che la pubblicazione del libro nel 1981 avvenne all'interno di una collana di sociologia, con tanto di prefazione affidata a un sociologo della comunicazione.

Gli autori, in premessa all'edizione di vent'anni fa, dichiaravano che l'ipotesi alla base della loro scelta - ossia che "l'analisi dei modelli culturali presenti nella canzonetta e nel teatro di varietà dia la possibilità di cogliere l'ideologia ad essi sottesa e di aprire uno squarcio (...) su quella che vorremmo definire la mentalità collettiva di un'epoca" - era nata da un'affermazione di Umberto Eco, secondo cui "una delle caratteristiche del prodotto di consumo è che esso ci diverte non rivelandoci qualcosa di nuovo, ma ribadendoci quello che sapevamo già, che attendevamo ansiosamente di sentir ripetere". Che è precisamente un approccio più sociologico che storiografico.

Le fonti utilizzate dagli autori, oltre all'Archivio di Stato, agli archivi della Siae e della Rai, sono state le annate del "Canzoniere della Radio", una pubblicazione di grande successo che raccoglieva i testi delle canzoni trasmesse per radio (si tenga presente che nel 1930 il 65 per cento dei programmi radiofonici era costituito da musica, entro cui le canzoni facevano la parte del leone), e soprattutto il fondo censura teatrale del Minculpop, che ha loro fornito oltre dodicimila copioni di riviste di varietà, commedie, canti celebrativi del regime, pièces da dopolavoro o da oratorio parrocchiale.

Il libro percorre molto accuratamente il processo, per altro abbastanza rapido, di trasformazione della canzone in lingua, la quale, erede del melodramma ottocentesco come fenomeno colto (la romanza), a partire dagli anni venti diventa prodotto di maggior diffusione attraverso la mediazione del dannunzianesimo, trattando di passioni sfrenate e di atmosfere peccaminose e voluttuose, per diventare negli anni trenta, tramite l'apporto determinante della radio, prodotto di consumo di massa, caratterizzato dal prevalere di stereotipi e formule ben definite e collaudate, e destinato a un ascolto sempre più acritico. Ed è innescandosi su questo processo che opera il regime, non solo e non tanto favorendo la produzione di canzoni di vera e propria propaganda, ma condizionando la canzone "neutra" a veicolare contenuti e atteggiamenti consonanti al proprio programma e alla propria ideologia. Comunque, con la guerra d'Africa, nel momento di maggior consenso popolare al regime, la canzone di propaganda fa quasi tutt'uno con la canzone di successo. Si pensi a Faccetta nera . La guerra (affrontata con un linguaggio mutuato a metà tra Salgari e D'Annunzio), l'impero, le inique sanzioni, l'autarchia, sono temi usuali di canzoni dell'epoca, che, lungi dall'essere male accolte per il loro contenuto smaccatamente propagandistico, riscuotono grande successo come "prodotti di consumo". Anche personaggi che sono stati ritenuti "di fronda", come Petrolini e Rodolfo De Angelis scrivono inni a Roma e strofette filo- autarchiche.

Più interessante è comunque l'analisi del processo per cui la canzone "neutra" viene condizionata, dalla censura o dall'autocensura, a fare da cassa di risonanza delle parole d'ordine ufficiali. La politica del ruralismo contro i processi di inurbamento, fallita sul piano pratico, ma promossa con decisione per lungo tempo, determina, anche nelle canzoni d'amore, l'abbandono della donna fatale, della voluttuosa amante, a favore della sana donna di campagna. La politica demografica del regime tende a caratterizzare la donna amata soprattutto come sposa e come feconda "fattrice", privata di qualsiasi attributo erotico e sessuale. Ci si adegua (o si aderisce) allo spirito nazionalistico del regime introducendo elementi di esterofobia, magari in chiave satirica nei riguardi del "gagà", il quale, oltre che contraddire al carattere virile e guerriero del vero fascista, puzza di anglo o di francofilia. C'è poi, naturalmente, un aggiornamento costante, dettato in parte dalla pressione di autori ed editori interessati a fornire un prodotto appetibile al pubblico, in parte dalla consapevolezza di dover adeguare l'immaginario ufficiale ai cambiamenti di costume.

Per cui, abbandonati i miti ruralistici e la sana massaia contadina, il principe azzurro viene sostituito dal ragioniere da mille lire al mese, e delle ragazze si possono decantare le belle gambe (soprattutto quando, in situazione bellica e di razionamento della benzina, si devono valorizzare i vantaggi dell'uso della bicicletta). L'eros e il rapporto fisico, quando discretamente citati, sono rigorosamente riservati a relazioni con donne esotiche (hawaiane, brasiliane, andaluse).

Di particolare interesse è poi il capitolo dedicato al tormentato rapporto con la musica proveniente da oltreoceano, il jazz (chiamato "musica sincopata", o trascritto come "gez"). Da una parte la si rifiuta categoricamente, perché contraddice ai canoni nazionalistici e razzisti del regime (su "Il Popolo d'Italia" del marzo '38, riportando la notizia di un concerto che "l'ebreo Benny Goodman, forse il massimo esponente dell'hot americano, ha tenuto (...) a favore della Spagna rossa", ci si chiede se "quegli autori bolscevichi e le loro musiche devono essere eseguite proprio nei locali dell'Italia fascista"); dall'altra bisogna fare i conti con le esigenze anche aziendali dell'ente radiofonico di stato, l'Eiar, e col fatto che lo scadimento qualitativo della musica leggera italiana provoca una drastica riduzione degli scambi con l'estero, sollecitando le proteste dei "camerati parolieri", dei "camerati editori" e dei "camerati orchestrali". Quindi, per salvare il principio dell'autarchia, prescritto anche per la musica, e per tenere conto contemporaneamente del mercato e dei gusti del pubblico, ci si rassegna a promuovere una campagna di valorizzazione del "gez italiano", lasciando quindi campo libero ad autori ed esecutori come Semprini, Kramer, Barzizza, Mascheroni, Rabagliati e il Trio Lescano.

Inedita infine l'analisi accurata delle riviste di varietà dell'epoca, la cui importanza fu accresciuta, a partire dalla fine degli anni trenta, dalla chiusura anticipata delle sale da ballo: provvedimento che non riguardò invece cinema e teatri, nonostante l'inizio della guerra. Dopo una ventata di spensierata condivisione della propaganda bellica da parte di protagonisti della rivista che anche e forse soprattutto dopo la guerra avrebbero raggiunto l'apice del successo (Totò, Wanda Osiris, Riccardo Billi), con l'aggravarsi della situazione sia sul fronte esterno che su quello interno ci si azzarda ad affrontare, sia pure mettendola sul ridere, gli inconvenienti dovuti all'oscuramento, al tesseramento, alla mancanza di benzina e di caffè; fino a giungere alle barzellette, che estemporaneamente il capocomico raccontava al pubblico sui gerarchi fascisti, al di fuori del copione approvato dalla censura.

In coda al libro un'esauriente antologia di testi, sia di canzoni che di brani e scenette di rivista che dimostrano come, a volte, lo zelo propagandistico possa raggiungere involontariamente vette di comicità assoluta. Valga come esempio il testo di un Tango dello spionaggio , teso a mettere in guardia dalle Mata Hari che il nemico potrebbe mettere in campo: "Se tra esotiche braccia un dì t'avvenga / trovar fallaci istanti di diletto / del nemico l'astuzia ti sovvenga ,/ sii circospetto. / Non ti fidar di donna sconosciuta: / sia la tua bocca prodiga di baci, / ma di parole non che avara, muta. / Ama, ma taci!".

F. Amodei è architetto e cantautore

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