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Il fascino che l'opera di Grozio esercita dipende in buona parte dall'essere collocata all'incrocio tra diritto e politica. Grozio è un giurista, si occupa cioè di casi particolari, ma lo fa utilizzando idee di portata filosofica. Inoltre, le conclusioni a cui arriva rivestono sempre un carattere generale. Questo schema si applica perfettamente a questo volume, che è anche il primo scritto pubblicato dal giurista di Delft. Parte di un'opera più grande intitolata De iure praedae Commentarius, che rimase inedita e vide la luce solo nel XIX secolo, il Mare liberum venne dato alle stampe nel 1609, "per espressa richiesta della Camera olandese della Compagnia delle Indie orientali". In quella fase storica, infatti, l'Olanda era impegnata a creare una forte espansione commerciale nei mari indiani. Per questo gli abitanti dei Paesi Bassi dovevano contrastare le pretese portoghesi di un dominio esclusivo di quelle acque. Nonostante questa origine strumentale, lo scritto si fa apprezzare per le coordinate che inquadrano il ragionamento particolare teso a negare ai lusitani il monopolio sui mari dell'India. La libertà dei mari viene argomentata facendo perno sulla distinzione fondamentale tra mare e terra. La seconda può e deve essere sottoposta alla sovranità degli stati o comunque degli aggregati umani, il primo invece deve necessariamente rimanere in uno stato di libertà naturale e nessuno può limitarne l'uso. A loro volta queste conclusioni sono sostenute da un richiamo alla legge naturale. Dio ha creato gli esseri umani uguali, li ha dotati di ragione e di una propensione alla socievolezza. Principi, questi, che avranno un'importanza essenziale nello sviluppo del moderno costituzionalismo. Accanto alla traduzione, il libro presenta anche il testo latino esemplato sull'edizione del 1633, l'ultima rivista dall'autore.
Maurizio Griffo
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