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La ricerca di sé ha alimentato la scrittura variamente autobiografica dei tre grandi autori del Novecento inglese qui presi in esame: William Butler Yeats, Virginia Woolf e Stephen Spender. In modo molto diverso l'uno dall'altro, tutti hanno dato vita a ritratti di sé mutevoli e inafferrabili. Tutti hanno dovuto fare i conti con l'autorialità, l'autenticazione non più soltanto della propria scrittura, dell'opera d'arte, ma del proprio io tradotto in arte. Con abilità critica e chiarezza espositiva Sabrina D'Alessandro smonta le categorie di autos, bios e graphein con gli strumenti della critica letteraria e decostruzionista per concentrasi sul cortocircuito che è costitutivo dell'autobiografia, in cui autore, narratore e personaggio collassano in un io vero e finzionale a un tempo. Se per Yeats l'io come maschera è cifra e icona che eredita dalla sua esperienza teatrale, dal suo interesse per il teatro No giapponese, dal suo studio della mimica ed espressività facciale come manifestazione del sé, per cui non è difficile pensare che le versioni che ha dato di sé nel corso degli anni sono uno studio sulla propria personalità in forma di maschera, nondimeno Virginia Woolf descrive la crisi di una soggettività totalizzante, incapace di una visione univoca, definitiva e retrospettiva del s/oggetto io. Nonostante Stephen Spender rappresenti una voce impegnata e politicizzata di una generazione che apparentemente si distacca dall'esperienza più estetizzante degli altri due scrittori, anch'egli constata la crisi di una narrazione lineare e onnicomprensiva e vive la frammentazione di una realtà traumatizzata dalla guerra, rendendo inoltre esplicito il tema dell'omosessualità. Sabrina D'Alessandro coglie quindi le differenze non solo stilistiche, ma sostanziali delle forme autobiografiche sperimentate da questi scrittori che appartengono a fasi diverse dell'esperienza avanguardistica. Se il genere autobiografico, per mano loro, diviene un ibrido di romanzesco e diaristico, di ritratto e autoritratto, di rivelazioni, nascondimenti e mascheramenti, ciò è in parte ricondotto proprio al clima di continua sperimentazione del periodo a cavallo tra le due guerre. Il volume è affascinante per il tipo di dialogo che intreccia fra i testi (autobiografie, romanzi, lettere, diari, frammenti poetici), gli autori del canone inglese e il dibattito contemporaneo sul genere autobiografico o sull'impossibilità dell'autobiografia a partire dall'esperienza modernista. Carmen Concilio
L'artista allo specchio è un viaggio nell'universo interiore di tre autori del Novecento inglese W. B. Yeats, Virginia Woolf e Stephen Spender che rappresentarono se stessi utilizzando le forme autobiografiche più diverse, dal saggio al diario, dai memoirs al romanzo, nel tentativo di comporre un io autentico nel quale potessero riconoscersi. Ma l'autoritratto è soggetto agli inganni dello specchio, e l'immagine che ne risulta riflessa è rovesciata: è l'immagine dell'Altro. Un percorso, questo, proprio della scrittura autobiografica del Novecento, ove l'io perde il suo statuto ontologico per mutarsi in un pronome personale fragile, dagli incerti contorni. La scrittura autobiografica può però diventare fertile terreno di sperimentazione trasformandosi, di volta in volta, in maschera stilistica dell'io, come accade nelle Autobiographies di Yeats, oppure in meta-autobiografia ed è il caso dei Moments of Being della Woolf o ancora in biografia collettiva, come dimostra World Within World di Spender.
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