Il medioevo non è solo un trasmettitore di testi, è anche un perpetuatore di modelli e di linguaggi e, soprattutto, un convertitore di civiltà. Potrà sembrare un'asserzione da Literaturgeschichte als Provokation (Jauss), ma senza medioevo, forse, saremmo ancora senza teatro: perché il teatro drammatico agito in Occidente si estingue con Seneca (65 d. C.) e senza la teatralità diffusa dell'età di mezzo (né uno spazio né un luogo deputato, ma tutti gli spazi e tutti i luoghi possibili, anche letterari), la demagogia spettacolare tardo-antica avrebbe corso il rischio di cancellare il teatro dal tessuto della cultura occidentale. Un po' come se Zelig avesse soppresso Pirandello. Di questo epocale recupero, il giullare non è solo fattiva componente, ma ne è parziale protagonista. "Parziale", perché nel medioevo gli elementi della comunicazione teatrale antica (gesto e testo) giungono già scomposti e seguono percorsi non divergenti, bensì paralleli, cospirando, assieme alla liturgia, alla ricostruzione di un'idea possibile di teatro. Da un lato, il gesto performativo di piazza (giocolieri, funamboli, giullari); dall'altro lato, la lezione drammatica dei testi (Plauto e, soprattutto, Terenzio; Seneca e il tragico sopravvissero, misteriosamente, per un capello che non volle rompersi). Certo, non è perfetto teatro un testo senza gesto e non è perfetto teatro un gesto senza testo; ma nel medioevo il teatro "vive del suo cercarsi" (Cruciani): è un'aspirazione, non un dato di fatto. Scrivere libri sul giullare (come questo e come quello di Sandra Pietrini, I giullari nell'immaginario medievale, Bulzoni, 2011), allora, vuol dire, prima di tutto, scrivere libri sul recupero della teatralità occidentale, sulla lenta emancipazione del gesto e della scena, nonché sulla progressiva legittimazione del corpo e delle sue espressioni. Francesco Mosetti Casaretto
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