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Come fare cose con le parole - John Langshaw Austin - copertina
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Descrizione


Ricco di forza polemica e di intuizioni geniali, il lavoro di Austin ha segnato la svolta dal linguaggio inteso come concezione del mondo al linguaggio inteso come azione.
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Informazioni:

TITOLO: Come fare cose con le parole A cura di Carlo Penco e Marina Sbisà; AUTORE: Austin John L.; EDITORE: Marietti 1820; COLLANA: Collana di filosofia; n. 22; trad. di Carla Villata; 2002 - CONDIZIONI: bross. edit. ill., alcune sottolineature a penna -

Immagini:

Come fare cose con le parole

Dettagli

1987
172 p.
9788821186356

Voce della critica


recensione di Leonardi, P., L'Indice 1987, n. 4

Con questo titolo, che traduce letteralmente quello originale, e che in qualche modo richiama i manuali per sviluppare fotografie o per imparare da soli una lingua straniera, compare una nuova edizione di uno dei libri di filosofia più belli degli ultimi quarant'anni.
Austin discute, qui, delle diverse funzioni del linguaggio: di come, parlando, oltre a descrivere come stanno le cose, compiamo tutta una serie di atti: facciamo contratti, prendiamo impegni, diamo ordini e avvertimenti, emettiamo giudizi ecc. Quando ci sposiamo ha luogo uno scambio linguistico in cui gli sposi non descrivono qualcosa ma siglano pubblicamente un contratto: quello che si dice durante la cerimonia non è propriamente n‚ vero n‚ falso, ma valido o non valido, o, nella terminologia di Austin, felice o infelice.
Si possono distinguere gli usi linguistici con cui facciamo qualcosa da quelli con cui descriviamo qualcosa? Austin, dopo aver proposto diversi criteri per questa distinzione, trovando dei contro-esempi per ciascuno di essi propone la tesi che parlando facciamo sempre qualcosa; anzi quasi sempre più cose a un tempo. La teoria che Austin elabora a partire dalla fine della settima di queste 12 lezioni che tenne a Harvard nel 1955 è nella sostanza quella che oggi si chiama teoria degli atti linguistici. Parlando facciamo qualcosa a un primo livello, perché proferiamo suoni, che rispettano la grammatica di una lingua, e perché con questi suoni facciamo riferimento a qualcosa, attribuendogli proprietà o relazioni con altre cose. A un secondo livello, proferendo questi suoni così emettiamo un giudizio, esercitiamo un'autorità, prendiamo un impegno, e così via. A un terzo livello, sortiamo eventualmente degli effetti, a volte, proprio quelli che cercavamo di produrre: un nostro consiglio persuade colui cui l'abbiamo dato.
Che il linguaggio non serva solo a descrivere si sa da sempre. Austin, però, è stato il primo ad offrirci una trattazione sistematica (e non una semplice classificazione) di tutti gli usi del linguaggio, e la teoria degli atti linguistici fondamentalmente nella sua versione, e oggi una dottrina universalmente accettata. L'argomento coinvolge questioni filosofiche centrali: il concetto di verità, anzitutto, e poi le regole, le convenzioni, il soggetto (le azioni, linguistiche e non, sono sempre compiute da un soggetto), l'etica. Per tutto questo è già, come dicono i curatori un classico. Ed è, inoltre, davvero un classico per gli spunti e le possibilità di lavoro che ancora offre. Inoltre, è un classico perché smonta inappellabilmente la teoria di molti empiristi logici della prima metà del '900, per cui la funzione descrittiva sarebbe la sola funzione del linguaggio.
La nuova edizione italiana è, complessivamente, quanto di meglio ci si poteva aspettare. Alla traduttrice si deve una bella "Nota" alla traduzione, con qualche scelta che appare, inevitabilmente, discutibile: per esempio, quella di tradurre statement talvolta con "asserzione", o imply con "dare per implicito" anziché "implicare", o la traduzione, qui non segnalata, di constative con "constativo" anziché con "constatativo"-comunque l'unico errore della "Nota" è l'attribuirmi la cura dell'edizione italiana di "Atti linguistici" di John Searle, cura che non ho mai esercitata.

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