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scheda di Polano, S., L'Indice 1993, n. 6
Una biografia non comune, quella di Bruno Zevi: 'master' in architettura presso la Harvard University con Walter Gropius , nell'immediato dopoguerra è tra i promotori del celebre "Manuale dell'architetto" (1946), fonda "Metron" (1945-55) e dal 1954 tiene una rubrica settimanale di architettura (la prima e, in fondo, l'unica in Italia) su "Cronache" e poi su "L'Espresso". A lui si deve anche la nascita nel 1955, di "L'architettura-cronache e storia", di cui assume la direzione. Grande 'promoter' dell'opera di Frank Lloyd Wright, Zevi costituisce nel 1944 l'Apao (Associazione per l'architettura organica) e nel 1959 l'In/arch (Istituto nazionale di architettura). Insegna a Venezia dal 1948, all'Istituto universitario (Iuav) diretto da Giuseppe Samon…. Vincitore nel 1960 della prima cattedra di storia dell'architettura dell'università italiana, si trasferirà nel 1963 alla facoltà di Roma. Autore di libri come "Saper vedere l'architettura"(1948), "Storia dell'architettura moderna" (1950), "Poetica dell'architettura neoplastica" (1953), tradotti in moltissime lingue e ancora in libreria, si ritiene "condannato ad agire - scrive nell'autobiografia del 1977 - a suscitare iniziative... Qualsiasi impresa è buona, purché... ecco il guaio, la devi creare tu, non puoi trovarla già confezionata, altrimenti non ti incarna; e dovrà essere sempre personalizzata, cioè discorde, tinta di eresia". Personaggio scomodo per il costume del Bel Paese, ha intrapreso continue battaglie, politiche e culturali, con impegno civico e vigore polemico, ma con risultati alterni e spesso duramente criticati. Di tale orgogliosa e sempre più isolata contestazione, vissuta come una intransigente autoemarginazione, testimonia anche questa raccolta di "sferzate" rivolte alle male vicende della cultura architettonica dell'ultimo ventennio.
In un'età di demotivazioni, i nodi del linguaggio architettonico (dal tardo-moderno al decostruttivismo) s'intersecano con quelli dei disagi sociali, di un'urbanistica disincantata, di una tutela priva di immaginazione del patrimonio ambientale ed artistico (ossessione, più che difesa, del passato), di un catastrofico assetto della didattica universitaria. Affiorano moltepici rigurgiti fascisti e stalinisti, comunque classicisti. Da un lato, turpi richiami all'ordine (e agli "ordini"); dall'altro, forsennata e insipida dilapidazione eclettica. Come intervenire in questa palude culturale? L'inquieto andamento spaziale e volumetrico del museo berlinese di Daniel Libeskind (in copertina) indica un percorso conflittuale, composto di spezzate oblique, di riprese intermittenti che seguono gli sbandamenti: sterzate volte a riportare i dispersi sui binari di una comunicazione vitale. Non si possono sprecare le straordinarie conquiste dell'ultimo secolo, quelle segnate, tra gli altri, da Frank Lloyd Wright, Ralph Erskine e Frank Gehry. La "tradizione del nuovo", che alcuni sciagurati vorrebbero anchilosare, è destinata ad un rilancio. NO agli archetipi e al paranoico bisogno di simmetria. NO ai riflussi accademici e alla rinocerontite post-moderna. NO al nichilismo critico e all'autoindulgenza nel logoramento. NO all'ideologizzazione della sconfitta nei piani delle città. NO all'assassinio dei monumenti da parte delle suprintendenze (Palazzo clei Diamanti a Ferrara). I risvolti di questi NO sono affermazioni gioiose. La sindrome della restaurazione si attenua, stremata. Vigilando, manovrando lo sterzo, si configura in architettura un "progettare disturbato" che sfocia nel continuum democratico.
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