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Nel 1684 sugli Acta Eruditorum di Lipsia compariva un breve scritto di un gesuita lucchese, insegnante nel prestigioso Collegio romano, il padre Giovanni Francesco Vanni. Il periodico, appena fondato, ma già una delle voci più autorevoli nella Res publica letteraria, prendeva le distanze dalle tesi del gesuita toscano con una postilla, anonima, di Leibniz. Il Vanni nel suo scritto attaccava uno dei teoremi galileiani delle leggi del moto. La sortita del gesuita suscitò un'aspra polemica che rimbalzo da Lipsia a Firenze, da Roma a Venezia, da Napoli a Pisa e vide impegnati, lungo quasi un quarantennio, alcuni tra i più autorevoli filosofi del tempo, dal Leibniz al Bernoulli, dal Viviani al Gottignies, dal Guglielmi al Giordani, dal Marchetti al Monforte, dal Grandi al Porzio.
Il saggio segue le vicende della polemica attraverso il carteggio che da Firenze, Antonio Magliabechi mantenne con quasi tutti gli interlocutori della vicenda. Ne emerge da un lato la consapevolezza che si ebbe, in Italia e fuori, della pretestuosità degli argomenti del gesuita lucchese (al primo scritto del 1684 ne seguirono presto altri) e la preoccupazione del carattere ideologico, marcatamente antigalileiano, della polemica, ma anche uno spaccato della cultura scientifica italiana alla soglia del Settecento, divisa tra gli Studi e le Accademie, alle prese con il confronto difficile e irto di problemi con l'eredità galileiana.
Antonio Magliabechi ricoprì in tutta la polemica un ruolo non secondario: sostenitore, nell'intimità delle sue carte, delle sortite del gesuita, attirò dentro l'intricata vicenda la gran parte dei suoi corrispondenti, non esitando a compiere una vera e propria opera di provocazione nei confronti dei più restii. Sullo sfondo s'intravede lo scontro, ormai alla sua fase finale, tra i rinnovatori della filosofia, fedeli all'eredità galileiana e la prudente politica del Granduca assecondata e sostenuta dall'ambiguo e potente bibliotecario.
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