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Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia
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Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia - Luis Sepúlveda,Bruno Arpaia - copertina
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Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia

Descrizione


"Raccontare è resistere": la citazione da Guimarães Rosa posta in epigrafe a questo libro sembra racchiudere il senso di un'esperienza umana, letteraria, politica. In una lunga conversazione con Bruno Arpaia, scrittore italiano che per inclinazione letteraria e conoscenza del mondo latinoamericano rappresenta per lui un'ideale sponda dialettica, Luis Sepúlveda affronta tutti i temi che lo coinvolgono e lo appassionano: la sinistra ieri e oggi; la sfida dei movimenti no-global; il significato dell'impegno ambientale; la letteratura latinoamericana al di fuori delle schematizzazioni e dei luoghi comuni; cos'è stato per lui, fin dagli anni dell'apprendistato, lo scrivere, quali sono stati gli autori formativi e quali le affinità; in che forma si può raccontare la lotta, il carcere, l'esilio. E ancora: il rapporto e il confronto tra Sud e Nord; il tema, intensamente sentito, vissuto ed espresso, della marginalità; i giudizi, sempre influenzati da una passionalità che Sepúlveda non nasconde, anzi dichiara, su altri scrittori, sul giornalismo d'oggi, sui luoghi e gli ambienti in cui ha vissuto dagli inizi del suo esilio europeo. Una confessione a tutto campo, che si confronta con gli stimoli, le domande, le insistenze, talvolta il dissenso di un narratore che sposa e verifica nel proprio scrivere un'idea di letteratura non certo lontana da quella dell'autore del "Vecchio che leggeva romanzi d'amore".
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Dettagli

3
2015
5 marzo 2015
176 p., Brossura
9788823511514
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Indice


Le prime frasi

LA SPERANZA E LA POESIA

Bruno Arpaia Vorrei iniziare questa nuova conversazione con una frase, secondo me straordinaria, di Elsa Morante "Una delle possibili definizioni giuste di scrittore sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura". Una definizione che penso aderisca perfettamente al tuo modo di intendere la letteratura e la vita.

Luis Sepúlveda Sì, perché per me uno scrittore è un uomo o una donna che è a suo agio dentro la vita, nelle cose più apparentemente insignificanti, e proprio per questo scrittore. Queste parole della Morante hanno forti reminiscenze di Walt Whitman, quando scriveva che nulla di ciò che accadeva gli era estraneo, nessun dolore e nessun piacere gli erano sconosciuti, ogni dubbio gli apparteneva. Ciò che meno gli interessava era la coscienza di essere un letterato perché gli faceva perdere tempo prezioso per appropriarsi di altre cose. Le parole di Whitman e della Morante sono un manifesto contro l'assurda sacralizzazione dello scrittore, considerato come una creatura da scrivania che vive totalmente di letteratura e per la letteratura. Contesto l'esistenza di quel limbo dello scrittore o dell'intellettuale che gli permette di essere lontano dagli altri e tuttavia di esprimere opinioni. Anche se mi piace la letteratura, anche se amo moltissimo scrivere, ci sono momenti in cui preferisco passeggiare con i miei figli, fare l'amore, pescare, giocare con il mio cane, cucinare perché vengono amici a cena. Non sacralizzo nulla e man che meno la letteratura, che pure mi riserva momenti felicissimi.

B.A. Del resto, per la tua e la mia generazione, molto vicine temporalmente, cresciute a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta, scoprire il mondo significava scoprire insieme la letteratura, anche se da semplice lettore, e la politica, intesa nel senso più nobile e più ideale. Saranno questi i due temi principali delle nostre conversazioni: due temi accomunati dalla passione per la vita, dall'interesse per gli altri. Per i più giovani, forse, si tratta di un percorso strano, di un apprendistato irripetibile, perciò credo che valga la pena provare a raccontarlo. Tu come e quando ti avvicinasti alla politica?

L.S.. All'inizio del liceo, a Santiago. C'era un ragazzo di un paio d'anni più grande che mi affascinava molto: era il primo della classe, dirigeva il giornalino dell'istituto e aveva sempre un'opinione sicura su tutto. Era comunista. Un giorno mi invitò a partecipare a una manifestazione al Parque Bustamante in cui parlava Neruda. Io ammiravo già Neruda, a volte andavo a sedermi di fronte a casa sua a scrivere poesie in segreto e a guardare i meravigliosi tramonti che si vedevano da quella panchina. Fu a quella manifestazione che si avvicinarono due ragazzi: chiedevano in giro se qualcuno voleva entrare nel partito. Senza pensarci su, alzai la mano e dissi "Io". Mi diedero una tessera da aspirante. Quella vera, quella militante, avrei dovuto guadagnandomela creando la cellula della Gioventù comunista del mio quartiere. Andai in sezione, parlai con i vecchi che mi accolsero molto bene, ma la verità è che non sapevo da dove cominciare. Comprai con i miei risparmi un secchio di vernice bianca e ridipinsi la sede del partito, ma poi? Mi sentivo destinato a cambiare il mondo, però in realtà non sapevo come fare. A quei tempi in sezione arrivava una rivista che si chiamava "Unione Sovietica". C'erano molte foto e articoli sull'avventura spaziale, su Garin e Valentina Terekova e sul progresso scientifico dell'umanità e della patria del socialismo. Allora mi venne in mente di organizzare una mostra sull'Unione Sovietica e il cosmo. Mentre ritagliavo foto e articoli, si avvicinò un ragazzo della mia stessa età, Marcos Leal, un tipo meraviglioso, straordinario. "Che stai facendo?" mi chiese. "Una mostra sull'Unione Sovietica e il cosmo" risposi. Studiava in una scuola professionale, sembrava molto interessato all'aspetto scientifico della mostra, così gli domandai a bruciapelo se voleva entrare nella Gioventù comunista. "Di che si tratta?" domandò. Allora gli recitai il catechismo: si tratta di lottare per l'avvenire, la giustizia sociale e blablablà. "D'accordo" disse lui alla fine della cantilena. Eravamo in due, ora, e la nostra mostra fu un successo, anche perché la sezione del partito era vicino a una fermata del tram. Un posto strategico. Quando pioveva, la gente entrava a frotte a visitarla. Sei mesi dopo eravamo già venti e finalmente mi diedero la tanto desiderata tessera da militante. Diventai il primo segretario politico della cellula della Gioventù comunista Antonio Gramsci. La cosa più strana era che allora la Gioventù pubblicava una rivista che si chiamava "Gente Joven": una rivista comunista, ma fatta in realtà da vecchi anarchici amici di mio nonno. Ci trattavano con grande affetto, ma non rinunciavano a far filtrare messaggi libertari in quelle pagine. Noi distribuivamo la rivista fuori delle fabbriche il venerdì pomeriggio, alla fine del turno, e a me toccava salire su una cassa e fare agitazione mentre la bandiera rossa sventolava alle mie spalle. Un anno dopo, comunque, i "miei" militanti erano diventati quasi cento.

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giacomo sgorlon
Recensioni: 4/5

Sinceramente l'ho trovato un libro molto bello e intimo.La visione della politica di Sepulveda,anche se si capiva dai precedenti lavori,è chiara;come è chiaro il suo impegno ambientalista.La visione di una sinistra che ha perso,secondo me,è giusta ma questa critica non è un epitaffio anzi tutta l'intervista è uno stimolo alle nuove generazioni di chiedere sempre di più a chi ci governa.Purtroppo a tutt'oggi i Grandi pensano solo alla guerra e non ad uno sviluppo sostenibile.

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scarabeo
Recensioni: 5/5

"Quando vivi intensamente, capisci presto che la cosa più facile, più normale, è il fallimento. Però solo dai fallimenti ricavi una vera lezione". Altro da aggiungere? Un capolavoro, assolutamente imperdibile.

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Marco
Recensioni: 2/5

Non è un romanzo, ma un'intervista che scopre il "Sepulveda complete": lo scrittore, il militante, il profugo, l'essere sociale. Inevitabilmente il giudizio dipende dai gusti del lettore - se chi legge è un militante di Forza Italia la distruzione è assicurata. A me lui, Luis, risulta simpatico, specialmente quando racconta dei casini che ha fatto scoppiare. La sua politica - evidentemente condivisa da Bruno Arpaia - invece mi urta (senza essere forzista). Mi irrita ad esempio che la sinistra abbia, nel loro giudizio, perso le capacità di proposta con la caduta del Muro: se anche prima la proposta era quella, meglio lasciar perdere. Mi irrita che tutte le speranze stiano col popolo di Puerto Alegre: lo sviluppo economico non è tutto, ma quando il progresso si misura in calorie serve, eccome. E mi urta in generale l'attitudine di entrambi alla retorica e a guardarsi l'ombelico. Francamente anche la parte letteraria mi sembra riduttiva, con questo concetto che il romanzo deve essere basato su una bella storia coinvolgente. Sia chiaro, io sono così, preferisco l'Isola del Tesoro alla Veglia di Finnegan o alla Montagna Incantata, ma restringere così la letteratura mi mette a disagio. Ma comunque ... il tentativo l'ho fatto. Non ci ho trovato granché che mi piaccia, ma almeno ho pensato un po'. Naturalmente gli ambientalisti troveranno tesi che piacciono. Ma non considero questo un buon motivo per leggere un libro: e questo francamente lo sconsiglio.

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La recensione di IBS


«O si è un seduttore o non si è uno scrittore. Se non si è convinti di stare usando le parole più belle del mondo, della necessità di raggiungere con quelle parole un ordine esteticamente perfetto che riempirà di ammirazione chi legge, non si sta credendo in ciò che si scrive. Non si può fare nulla in letteratura se non si parte dalla premessa fondamentale che si scrive per sedurre il lettore.»

Un romanzo è sostanzialmente il racconto di una vicenda e tutto ciò che è superfluo va eliminato: questa è la tesi e il metodo di lavoro di quel grande scrittore che è Luis Sepúlveda e proprio questa idea della scrittura indica come l'essenzialità e la capacità di sintesi sia una delle doti più difficili da possedere. Che cosa è più difficile? Sicuramente tagliare, potare l'albero di parole che si è creato e che di certo fa ombra all'idea centrale del racconto.

Le parole poi devono essere funzionali ai temi che vogliono essere comunicati e non amate in sé, tutto ciò in una visione di contenuti, di concetti e nella concezione stessa della vita che un uomo ha.

Due scrittori, Luis Sepúlveda e Bruno Arpaia, così simili e così diversi, dialogano sulla letteratura e sull'etica, sulla tecnica e sulle scelte, e ciò che emerge è principalmente la stretta unione tra arte e vita, tra uomo e scrittore.

Così il dolore, la sofferenza provata non possono diventare materia della scrittura se non quando la vittima ha raggiunto un certo distacco e sa rendere la propria esperienza in modo universale e non solo strettamente autobiografico.

Ma l'elemento che dà maggior fascino (e che le discrete domande di Arpaia evidenziano) al personaggio Sepúlveda è la sua vita avventurosa e drammatica, la coerenza e l'onestà intellettuale che hanno caratterizzato opere e scelte. Così emerge dal libro come lo scrittore cileno non abbia reputato per anni possibile per lui trasferire direttamente sulla pagina la propria esperienza, anche se avrebbe potuto rappresentare un modello, ma abbia dovuto far trascorrere molto tempo perché la violenza subita era stata eccessiva e non riusciva a trovare parole adeguate a descriverla.

Così si nota l'attenzione al linguaggio, al termine, allo stile oltre che al "messaggio". Altro elemento da segnalare è la lucida capacità di osservare le trasformazioni politiche ed economiche in atto, e la determinazione con cui si schiera (è un suo antico vizio) dalla parte dei perdenti e dei deboli. Così il Sud, del Cile in particolare e del mondo in generale, ha rappresentato la materia privilegiata del suo narrare e la Patagonia con gli immensi spazi e gli immensi silenzi è, grazie a Sepúlveda, diventato un luogo dell'immaginario collettivo, un luogo in cui perdersi è ritrovarsi, e la fantasia può compiere vagabondaggi senza confini.

Si deve ringraziare Bruno Arpaia per la capacità di sollecitare l'interlocutore con domande stringate e che volutamente danno spazio all'intervistato.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Luis Sepúlveda

1949, Ovalle (Cile)

È stato uno scrittore cileno. Militante di Unità popolare, fu costretto a lasciare il paese in seguito al colpo di stato che mise fine al governo di Allende. Il suo impegno di militante ecologista lo spinse a partecipare a diverse missioni dell’organizzazione ambientalista «Greenpeace». Esordì nella narrativa con la raccolta di racconti Cronache di Pietro Nessuno (1969), cui sono seguiti Le paure, le vite, le morti e altre allucinazioni (1986) e Taccuino di viaggi (1987). Si impose definitivamente con il romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (1989), cui fecero seguito Il mondo alla fine del mondo (1989), Un nome da torero (1994), storia di spionaggio ambientata fra la Patagonia e la Germania, La frontiera scomparsa (1994), l’originale...

Bruno Arpaia

1957, Ottaviano (Napoli)

Giornalista, consulente editoriale e traduttore di letteratura spagnola e latinoamericana, ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi I forestieri, Il futuro in punta di piedi, Tempo perso (Premio Hammett Italia 1997), L'angelo della storia (Premio selezione Campiello 2001, Premio Alassio Centolibri - Un autore per l'Europa 2001), Il passato davanti a noi (Premio Napoli e Premio Letterario Giovanni Comisso 2006), Per una sinistra reazionaria, questi ultimi usciti per Guanda. Per lo stesso editore è uscita anche una conversazione con Luis Sepúlveda, Raccontare, resistere. Per una sinistra reazionaria è del 2007, e del 2010 è Il futuro in punta di piedi. Nel 2011 pubblica un romanzo a carattere scientifico intitolato L'energia del vuoto, grazie...

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