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scheda di Viacava, A., L'Indice 1993, n.10
Analista dalla vita geograficamente movimentata, Maud Mannoni racconta ripercorrendola quello che tutti gli analisti sanno: di come ad ogni separazione-lutto il mondo vada in frantumi e con esso il linguaggio che lo descrive; di come le strategie di sopravvivenza siano le più varie, ma comportino spesso dinieghi e chiusure autistiche, e di come però il patrimonio di buone cose che si hanno dentro rimanga virtualmente presente e pronto a essere prima o poi riattivato da esperienze riparative. Nel suo caso, la scarsa presenza dei genitori diviene occasione di precoce ricchezza di esperienze relazionali umane e culturali: commovente il racconto del distacco dal paradiso perduto dell'infanzia, Ceylon, e dalla bambinaia singalese e con loro dal mondo pieno di miti riti, bellezza e armonia. Tutto ciò si inabisserà di fronte a situazioni esistenziali troppo difficili, per riaffacciarsi ogni volta che una nuova relazione amorevole lo solleciterà: il nonno in Francia, una suora della scuola in Olanda, fino all'incontro, grazie a un amore, con la psicoanalisi e con i suoi primi "disordinati e umili" maestri belgi, e poi con la Dolto, maestra e amica a Parigi e con la scuola francese, più strutturata e solida, ma senza perdere la nostalgia per i pionieri della scuola belga. Di là in poi c'è il racconto di una vita piena di incontri straordinari: suo marito Octave Mannoni, Lacan, Winnicott, Laing, la partecipazione appassionata al dibattito culturale degli anni sessanta e le esperienze che ne seguirono. Ma tutto è saldamente radicato nel paradiso di Ceylon, continuamente perduto e ritrovato in una capacità di espressione linguistica che va e viene, cosa la cui esperienza porterà Maud a essere una delle grandi ricercatrici della lingua perduta dell'infanzia.
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