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È lo sfogo di uno che non ne può più, e ha covato per anni un'insofferenza crescente per il saputo discorrere di una sinistra boriosa e affetta da un invincibile superiority complex , questo libello, che non disdegna di alternare ponderate citazioni sociologiche, passi da ritagli di giornale, analisi del linguaggio e polemica politica unidirezionale, tenuta sotto traccia, ma d'ispirazione marcatamente "riformista", come si usa dire con etichetta onnicomprensiva e quindi ormai confusa: e forse è un vezzo sul quale Luca Ricolfi potrebbe fare un po'di autocritica.
Il piatto può risultare indigesto e alcune delle critiche possono spazientire, al pari di quelle di un classico degli anni cinquanta: Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi. Le argomentazioni sono esposte con puntualità e non vale l'accusa di strabismo avanzata da qualche barbuto guru in vena di prediche domenicali (ma quelle di Luigi Einaudi sono irraggiungibili per nitore dimostrativo e secchezza illuminista: saranno piaciute, c'è da credere, all'autore di questo pepato pamphlet). L'attacco di Ricolfi deve essere ascoltato come un'invettiva da salotto, alla quale ognuno avrebbe, magari, molte riserve da contrapporre, ma vi rinuncia sia per l'ora tarda, sia perché le sente sproporzionate rispetto all'oggetto. Meglio far tesoro delle provocatorie osservazioni e ripensarle prima di aprir bocca. Semmai ci si potrebbe chiedere se sia il caso di scriver genericamente di una sinistra, dal momento che di sinistre c'è un vasto campionario e non tutte attingono allo stesso retroterra. Soprattutto non convince l'esaltazione del nemico elevato a esempio da imitare: il contratto con gli italiani sbandierato da Berlusconi in televisione, al contrario di quel che pensa Ricolfi, non aveva nulla di evidente e perspicuo.
Se la sinistra è antipatica, la destra è terrorizzante, poco credibile, funambolica e furbastra: non mancano sondaggi o sconfitte a dimostrarlo. Le quattro malattie più riprovevoli che circolano nel mondo variegato della sinistra sarebbero comunque l'abuso di schemi secondari, la predilezione per il politicamente corretto, la tendenza a codici da élite, un tronfio senso di superiorità etica. E tutt'e quattro derivano più da fedeltà ideologiche che dalla capacità di capire come vanno le cose. I rimedi sono assai virtuosi: coscienza della finitezza umana e rispetto per i fatti. Conclusioni accettabili, ma alla fine di un'analisi che convince poco.
Ho chiesto a un amico che ben conosco di scrivermi un succinto giudizio sul saggio. Mi ha consegnato un foglietto, che trascrivo: "Il discorso di Ricolfi muove da un intento polemico che punta a screditare la sinistra più combattiva e, per questo, senza individuare le organizzazioni e i partiti nei quali si articola la sinistra stessa, ed evitando un'adeguata contestualizzazione storica, si risolve in una lode per la destra, che riuscirebbe ad arrivare al cuore dell'opinione pubblica e a esercitare una leadership in realtà delegittimata da una corposa questione morale". Cestino gli appunti, fitti di luoghi comuni: ma mi chiedo se, malgrado la fastidiosa nebbia della terminologia e l'affannosa sintassi, non esprimano qualcosa di simpaticamente vero.
Roberto Barzanti
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