In questo suo nuovo romanzo Giuseppe Conte compone in una felice miscela, da una parte, la sua tradizionale vocazione per il mito classico e il mare e, dall'altra, un rinnovato piacere del racconto, affidato stavolta a un'efficace trama gialla. Mai viste meduse invadono il mare di Nizza e bloccano la partenza di una nave troppo grande dell'inquietante e strapotente compagnia Arcano. Nello stesso tempo sulla spiaggia approdano i cadaveri martoriati di due giovani donne. Inizia così una galoppata narrativa a perdifiato in cui i modi e ritmi del noir si mescolano con un originale impianto fantastico, perché la singolare e inaudita natura di quelle meduse non sarà estranea alla vicenda di male e delitti di cui il libro si compone. Indagano tanto il poliziotto ufficiale (sempre più frastornato e infelice) quanto improvvisati investigatori (un giovane cronista di colore, un senza tetto, la giovane figlia di un gallerista) e via via agli occhi del lettore si svela il mistero di atroci iniquità che lega lo sconvolgimento naturale alla malvagità umana e il filo di dolore e violenze che unisce da un lungo passato i protagonisti della vicenda. Il tutto in un continuo e crescente succedersi di colpi di scena in puro stile poliziesco e di progressiva immersione nel fantastico che ricorda 1Q84 di Murakami. Perché Conte passa da un ordine delle cose realistico e persino documentario (anche troppo a volte, come la terminologia biologica) a un ordine meraviglioso e surreale, in cui sono protagoniste la giustizia della natura e l'implacabilità delle sue punizioni. Qui scatta il mito, dalle Metamorfosi di Ovidio alle Meduse di Rubens o Böcklin al Minotauro di Picasso, a corroborare il versante fantastico del libro di quel retroterra culturale caro a Conte, la cui estetica del mito è più consapevolmente artistica e letteraria che ingenuamente ecologista. Il risultato è un romanzo di alta leggibilità, con una prodigalità narrativa che da tempo non si vedeva nelle pagine di uno scrittore italiano: forse ce n'è persino troppa. Il libro rilancia continuamente sul piano della trama e si permette anche di perdere poco oltre la metà uno dei protagonisti (il perfido Arcano, titolare dell'omonima compagnia di navigazione e smaltimento di rifiuti tossici) perché ha ancora un'infinità di frecce avvincenti al suo arco. Tra queste ci sono persino riporti leggeri ma riconoscibili e gustosi dall'attualità politica, come alcuni membri della corte del ricchissimo presidente, tra cui spiccano un servile e astuto giornalista che si chiama (attenzione) Ravenna, e un ambizioso e nanerottolo senatore Viola, nel quale si potrebbe intravedere la caricatura di un noto politico. Il romanzo è gremito di personaggi ben disegnati, dal terribile e perverso Arcano, alle sue perfette e addirittura meccaniche guardie del corpo, dal giovane cronista coraggioso al comandante di nave donnaiolo che ha conosciuto il padre del ragazzo e pagherà anche lui con la vita quello che ha casualmente scoperto; dalla segretaria fredda e malvagia del presidente alla generosa e appassionata Asal, che sarà il braccio armato della vendetta del mare; da Marlon, senzatetto di grande sensibilità, al commissario sgomento che si autodistrugge sentendosi impotente di fronte all'enormità del male. E infiniti altri, pescatori, scienziati, portinaie, donne di fede, preti, quasi uno spreco di volti e ruoli, ben definiti e quasi tutti funzionali. E, come se non bastasse, il finale è incredibile, apocalittico e spettacolare, senza consolazione; una triste fine con una scelta di sorprendente fantasia, in cui si apprezza il rifiuto di scorciatoie moralistiche, che inducano a pensare che la reazione della natura ai misfatti umani sia sempre giusta e buona. È solo tristemente spiegabile. Vittorio Coletti
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