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Il teologo cattolico Piero Coda non ama il termine inclusivismo perché veicola un atteggiamento di riconduzione a sé degli elementi positivi presenti nelle altre religioni. Certo Paolo insegna che tutto è chiamato alla ricapitolazione in Gesù Cristo, ma ciò non va inteso come eliminazione delle differenze, quanto piuttosto come loro salvezza e conferma nel Verbo incarnato, da cui parte ogni raggio di luce che raggiunge gli uomini. Nel magistero del Concilio e poi in quello di Paolo VI e Giovanni Paolo II ci sono due dati acquisiti. Il primo è che il singolo membro di un’altra religione, se nella sua coscienza aderisce al bene ed è aperto alla verità, viene raggiunto dalla grazia della salvezza (e ciò avviene anche per chi non riconosce espressamente Dio). L’altro punto, e l’enciclica Redemptoris missio lo dice chiaramente, è che anche le singole tradizioni religiose, in quanto suscitate originariamente dallo Spirito, hanno degli elementi che testimoniano ed esprimono quest’azione di Dio nella storia. In questo senso hanno ricchezze enormi, sono scuola di esperienza religiosa, di preghiera, di incontro con Dio. I raggi molteplici di Dio che illuminano tutte le autentiche tradizioni religiose passano attraverso Gesù Cristo. Questa verità, che fa la differenza tra Gesù e ogni altro fondatore di religione, è lo zoccolo duro dell’identità cristiana, e pone su un piano diverso la fede cristiana, facendola capace di interessarsi a tutte le altre religioni, perché in tutte essa scopre degli incipit del disegno di salvezza di Dio che attendono di compiersi in Cristo. Il punto delicato della posizione di Jacques Dupuis, autore di Verso una teologia del pluralismo religioso, è il voler salvaguardare una distinzione tra il Verbo eterno e Gesù Cristo, perché la pluralità delle vie che portano da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio passi appunto attraverso il Verbo universale e non solo attraverso Gesù. La fede cristiana ha invece da trovare proprio nell’originalità di Gesù Cristo,
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