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recensioni di Andrisano, A. M. L'Indice del 2000, n. 02
Funzionario imperiale di rango equestre, Svetonio ebbe incarichi prestigiosi presso l'ufficio culturale della corte, soprattutto durante il regno di Adriano: di qui la facilità di accesso agli archivi e la possibilità di controllare direttamente i documenti necessari alle sue ricerche. Studioso eclettico, legò tuttavia la sua fama alle Vite dei Cesari. Autorevole modello di scrittura biografica per la Vita di Carlo Magno di Eginardo (IX secolo), e in seguito per scrittori come Petrarca, Poliziano, Erasmo da Rotterdam, ebbe le curiosità più svariate, se scrisse (anche in greco) di espressioni ingiuriose come di giochi pubblici, di nomi come di usi e costumi del popolo Romano.
Il presente volume dedicato alla vita di Claudio è pregevolmente curato da Gianni Guastella, che aveva esordito con La vita di Caligola (Nis, 1992), un imperatore consegnato alla posterità dalla biografia svetoniana come tiranno folle e crudele. Anche questa volta Guastella restituisce attraverso una traduzione limpida e scorrevole le caratteristiche di semplicità e di vivacità della scrittura svetoniana.
Se gran parte della critica si è limitata tradizionalmente a confrontare l'opera di Svetonio con il resto della produzione storiografica, Guastella ha impostato in senso più ampio la rilettura dell'autore latino, chiedendosi com'è concepita e organizzata una biografia svetoniana, in quale contesto venga presentato l'imperatore di turno, quale tipo di personaggio l'autore voglia proporre. Si tratta nel caso di Claudio della tragica vita di un imperatore ridicolo: sovrano inadeguato, aveva già ispirato la comicità malevola dell'Apokolokyntosis senecana, probabile e immediata invettiva post mortem. Svetonio ne enfatizza ulteriormente la debolezza, la subalternità, crea un personaggio grottesco, intessendone la biografia con un alto numero di episodi comici.
Perfettamente centrando le intenzioni del biografo imperiale, Guastella scrive: "il Claudio di Svetonio è senza dubbio una figura manifestamente ridicolizzata, le cui imprese spesso ricordano molto da vicino situazioni che si potrebbero riscontrare negli intrecci della palliata o del mimo". Ma nel contesto di un racconto storico l'insistenza nel rilevare elementi di rovesciamento delle regole sociali (Claudio arriva perfino a prosternarsi di fronte a un soldato semplice) non sortisce la funzione liberatrice dell'invettiva, ma consolida la tradizionale valutazione negativa di un personaggio che si era trovato pur sempre alla testa dell'impero Romano: un uomo di discutibile cultura, di cui nulla ci è giunto, e che non doveva essere difficile screditare. Basti citate questo ennesimo sberleffo svetoniano: nel tratteggiare l'opera storica dell'imperatore il suo biografo accenna con un pizzico di malignità anche agli otto libri di una presunta autobiografia (XLI, 3), un'opera giudicata perfidamente da parte di un addetto ai lavori "priva non tanto di eleganza quanto di senso dell'opportunità".
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