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Dal profondo dell'inferno. Canti e musica al tempo dei lager - Leoncarlo Settimelli - copertina
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Dal profondo dell'inferno. Canti e musica al tempo dei lager - Leoncarlo Settimelli - copertina
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Descrizione


Le canzoni e le musiche raccolte da Leoncarlo Settimelli nacquero in paesi, condizioni ed epoche diverse. Accanto a quelle composte quando i lager erano ancora campi di lavoro, ci sono altri pezzi di contenuto grottesco e, ancora, le canzoni del ghetto, disperato grido di allarme, e le parodie di motivi di folclore o di canzonette del tempo, importantissime per capire la vita del campo e i sentimenti che vi si agitano. La musica cambia davvero per le canzoni che nascono quando i lager diventano macchine per l'eliminazione di milioni di esseri umani: allora le note dall'inferno si fanno testimonianza allucinante di menti che vacillano, che cedono o sopravvivono alla pazzia ricorrendo alle armi di un atroce umorismo.
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Dettagli

2001
1 gennaio 2001
295 p.
9788831778404

Valutazioni e recensioni

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Giorgio Cervetti
Recensioni: 5/5

Una lucida testimonianza sulla Shoah.

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Voce della critica

"Tutti sentiamo che questa musica è infernale. I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente. Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in marcia come automi: le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie secche, e si sostituisce alla loro volontà... ogni pulsazione diventa un passo, una contrazione riflessa dei muscoli sfatti".

Non è senza significato che in Se questo è un uomo l'aggettivo "infernale", impiegato solo due volte, venga associato in una di esse proprio alla musica: la musica subita dai prigionieri che sigilla e scandisce, con il "tempo del Lager", il loro stesso annientamento. Non sembri dunque enfatico o spettacolare il titolo del volume di Settimelli. La pagina di Primo Levi che abbiamo richiamata, tuttavia, non esaurisce il senso della presenza della musica in Lager. Un contrasto altrettanto atroce era costituito dalla musica come status symbol. Pierre Vidal-Naquet ha notato come la musica costituisse in Lager uno dei "beni simbolici" più richiesti dal potere, con orizzonti d'attesa diversi a seconda delle stratificazioni gerarchiche. Le direzioni dei Lager spesso si servivano delle orchestre come elemento di prestigio del campo, quando avvenivano visite ufficiali o nei concerti domenicali eseguiti davanti alla villa del comandante; e via via discendendo i gradini sociali si trovava richiesta di musica da parte di SS, sorveglianti, prominenti, Kapo, ognuno secondo il suo orizzonte culturale. La musica poteva allora offrire al prigioniero che la eseguiva una possibilità di sopravvivenza, paradossalmente tanto più elevata quanto meno ufficiale era il ruolo del suonatore o del cantante (la contrattazione con un singolo Kapo o SS potendo fruttare più della partecipazione alla banda che suonava le marce quotidiane). In Lager insomma si può anche cantare o suonare per l'intrattenimento o il piacere di SS e di Kapo. Ma l'inevitabile tentazione di un confronto con la categoria leviana della "zona grigia" va affrontata con attenzione e rispetto sia alle vicende individuali, sia al fatto generale che i musicisti non si trovano mai inseriti nella spirale della violenza e della brutalità, e molto spesso la loro sopravvivenza è di esigua durata. Forse sarebbe invece il caso di riflettere sul carattere terribilmente ambiguo della musica, sottolineato tempo fa da Pascal Quignard nel suo La haine de la musique.

Il libro di Arrigo Settimelli si cala in questo universo complesso e terribile, attraversandone gli aspetti sopra rilevati, specialmente nella parte centrale che rievoca le vicende dei gruppi musicali "ufficiali" di Sachsenhausen, Terezin, Auschwitz, intrecciandole con il recupero di memorie italiane (Mi ha salvato la voce di Emilio Jani, un libro di quarant'anni fa, e un rapido scorcio biografico di Nedo Fiano). Uno sguardo d'insieme di questo tipo mancava nella letteratura e nella saggistica italiana sulla deportazione. Tuttavia l'intenzione dell'autore è quella di strutturare l'intero percorso su un'altra funzione della musica eseguita o addirittura prodotta in Lager. Settimelli preferisce adombrare gli aspetti ambigui individuati sopra, e privilegiare invece il carattere resistente della musica: allora essa fu "salvazione, antidoto, modo di resistere alle sofferenze e alle torture", e oggi si carica di una funzione, oltreché emotiva, testimoniale e documentaria (spesso sottovalutata o rimossa dagli stessi protagonisti). Parlare di questa musica esplicitamente resistente significa rivolgersi a un'altra tipologia musicale (rispetto alle due illustrate più sopra): quella delle canzoni composte in Lager, che offrono (ed è uno degli aspetti più interessanti del libro) un panorama ampiamente europeo, probabilmente ancora da integrare (la mancanza di testimonianze spagnole è strana, considerato il peso della deportazione dei repubblicani a Mauthausen), ma straordinariamente ricco di nomi e testi. Da notare che in appendice si ritrovano sia i testi originali che le musiche (trentaquattro componimenti in tutto), e anche questa è una novità piuttosto ghiotta per gli interessati all'argomento.

Attraverso queste canzoni si ripercorre così, nella sua interezza, la storia dei Lager. Il primo testo, non a caso, risale all'epoca dei "campi selvaggi", che precede di poco l'apertura di Dachau: è il noto Die Moorsoldaten (I soldati della palude) di Esser-Langhoff-Goguel, del 1933, ripreso e adattato in molte altre versioni, tra cui una italiana, cantata a Ravensbrück. Il discorso complessivo e i vari testi si snodano secondo una sequenza grosso modo cronologica (almeno dichiarata tale dall'autore), individuando tre momenti fondamentali nella storia dei Lager: una prima fase rappresentata dai campi propriamente "politici" (Dachau, Buchenwald, qui però presentati nell'ordine inverso, e quindi non cronologico), in cui la produzione è dominata dagli artisti (cabarettisti, musicisti, cantanti di cabaret e così via) imprigionati dal regime. Viene poi la persecuzione di ebrei e zingari, con i canti dei ghetti e dei Lager di transito; quindi le canzoni riflettono il definitivo mutarsi dei Lager in fabbriche della morte. Di quest'ultima fase - si tratti di Shoah o di "sterminio attraverso il lavoro" - sono raccolti testi dalla storia difficile e sofferta, spesso "brandelli che sono frutto di commistioni e assemblaggi", come il Corale dal profondo dell'inferno di Leonard Krasnodebski, ideato a Treblinka, composto nel Lager di Sachsenhausen nel 1942 ("In questo / inferno / anche la morte chiede pietà") ma musicato nel 1944, un anno dopo la morte dell'autore delle parole; sono testi da mettere a confronto con la produzione - in Lager - di poesie, finora esplorata con metodo solo nel caso di Dachau (Dorothea Heiser, La mia ombra a Dachau, Mursia, 1997). Altre composizioni, dall'impianto quasi cabarettistico, sono invece testimonianza del sinistro Galgenhumor del Lager: ogni canzone viene comunque contestualizzata mediante la ricostruzione della sua storia e della biografia degli autori.

Il libro non si esaurisce qui. Trovano collocazione trasversale, in alcune delle undici sezioni in cui è diviso, le produzioni relative alla prigionia militare, soprattutto italiana. La scelta rischia di attenuare la drammaticità assoluta della dimensione dello sterminio, ma diventava inevitabile una volta deciso, come si è detto, di privilegiare la funzione "forte" della musica. Quest'ultima scelta finisce anche con lo spiegare perché non trovi spazio nel volume la musica pura (e quindi la musica "colta" rispetto alle "canzonette", se si può dire così), la cui valenza resistenziale è evidentemente molto meno esplicita (si pensi a una celebre opera contemporanea di musica come il Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen, composto nello StaLag di Goerlitz nel 1940; o alle armonizzazioni di musiche barocche polacche realizzate ad Auschwitz dal deportato Simon Laks).

Un ultimo aspetto preso in esame è quello delle composizioni nate dopo il 1945: non più musica dal Lager quindi, ma musica sui Lager . Anche in questo caso c'è la stessa scelta tipologica che ruota intorno all'associazione di musica e parole: canzone impegnata, di protesta civile. Scorrono i nomi (e i testi) di autori lettoni, dei chansonnier, dei gruppi musicali degli anni sessanta e settanta, di Francesco Guccini; tra gli autori si ritrovano anche i superstiti (il greco Iacovos Kambanellis, musicato da Theodorakis, il polacco Tadeusz Kulisiewicz). Anche qui merito di Settimelli (che ci concede di non accennare a tutta una serie di errori e imprecisioni riguardanti alcuni luoghi o situazioni, comunque ininfluenti rispetto al senso generale dell'opera) è quello di entrare nel dettaglio: in parte riprendendo testi dimenticati, in parte sviluppando, in appendice, un percorso all'interno della canzonetta "leggera" italiana, e andando a bacchettare ferocemente ("Canzonetta razza padrona") tutta una tradizione che affonda le sue radici in un sospettabile passato fascista, genuinamente e originalmente razzista, prima ancora delle leggi del 1938. A dimostrazione di quanto porti vicino all'oggi il tema dei campi di sterminio, sui quali c'è ancora decisamente molto da dire.

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