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Si tratta forse di un romanzo di formazione, singolare per l'assenza di un mondo intorno alla protagonista Rosa. Tutto è dentro lei, ogni cosa è solo ciò che decide il suo sentire. Cuba, all'uscita della fermata Des Abbesses del metrò parigino, i portici di Padova, scorrono come figure dell'immaginario, come tele di quadri amati o ripudiati, con candore, con ingenuità (e solo l'uomo di un quadro, dopo un ostinato silenzio, le rivolge una parola). È la narrazione di un isolamento progressivo, perseguito con una pervicacia che pare non contemplare il dubbio, se non per pochi intensi istanti. Figure, odori, nazioni, uomini e donne sono visti e percepiti attraverso uno schermo di nevrosi che quasi si autocompiace, pur nel dolore, nello strazio, nell'urlo. Il rimedio a ogni declino è il perseguimento di un piacere senza fiato, di un uomo che “le faccia” l'amore. Anche l'oggettiva bruttezza di questa onanistica espressione –da non confondere con una forte libertà formale che può piacere o no, ma è uno stile-- perfino questo inascoltabile “mi faveva l'amore” richiamano nel linguaggio l'impertinente ricerca di Rosa di un' assoluta sguaiata anarchia, che dal corpo si propaga alla sua visione della vita. Rimane il dubbio che l'autrice si serva del romanzo per un lungo sfogo, un diario buttato in strada a mostrare chi è Rosa, senza quell'ipocrisia dei pavidi e ignavi ciò che Rosa-Carla sembrano detestare ( e manifestarecon ricorrenti “conati di vomito”). Solo il l'amato adone cubano e il femmineo, fragile Leonardo –irraggiungibile amante, geniale eroe che vince grazie alle “d” che Rosa gli ha insegnato a togliere, il Leo adorato come un figlio ma anche come il padre, unico giusto della terra-- sfuggono al disincanto della cinquantenne Rosa. Il sacrificio di Leo, che le chiede un fiore sopra la propria umida tomba umida,è il suggello poetico e disperato su una vita dedicata a una bellezza agognata voracemente, desolatamente. Coraggiosamente, forse.
Il modo di dire "farmi l'amore" è forse quello che mi irrita maggiormente in tutto il romanzo
La storia è scandita dagli odori, dal sesso, di uomini e di donne, in una ricerca spasmodica di nuovi sapori, di emozioni diverse, fughe dalla normalità. Le città sono descritte attraverso gli odori, più o meno piacevoli. Così Cuba è cannella ma anche merda e orina, la notte è vischiosa e sa di banane fritte, caramello e musica. A Parigi i tigli sanno di foglie mature, le strade di creme dense e di sigarette fumate all’aperto. E sopra tutto un odore acre e pungente, l’odore del sesso, ovunque, che assale prepotente le narici. Cattura il profumo selvatico di sesso e sudore del giovane cubano Awari , istintivo e animale. Che quando faceva l’amore diventava come se la cannella si mischiasse alla pioggia e ai manghi, al sudore dell’estate tropicale. E anche l’odore nauseabondo delle uova fritta, non a caso cucinate da quello che era diventato un marito per Rosa. Quindi noia, routine, assenza di emozioni. L’olfatto è dominante fra le righe di questo libro che scorre lieve e intenso, che si gusta con tutti i sensi. E ho trovato meraviglioso il modo di dire 'farmi l'amore' che l'autrice usa più volte. E alla fine strappa anche una lacrima, senza scadere nel patetico, per un amore improbabile che invece era l'amore.
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