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Sto terminando di leggere per la seconda volta questo saggio di Aleksandr Zinoviev. Come già mi capitò di pensare la prima volta che lo lessi, qualche anno fa, ritengo che si tratti di uno dei più straordinari capolavori saggistici che mi sia mai capitato tra le mani. La lucidità con cui Zinoviev descrive i tratti essenziali di quello che lui chiamava "comunismo reale", e ancor di più la precisione con cui analizza e denuncia i limiti e i pericoli drammatici insiti nella cultura occidentale e nella sua ambizione sfrenata di dominio imperiale sul resto del mondo, lasciano veramente a bocca aperta. Nonostante la durezza con cui condanna senza appello Gorbachyov e lo assimila sostanzialmente a Eltsin, punto sul quale non posso essere d'accordo, l'importanza e la correttezza delle tesi di fondo esposte da Zinoviev sono tali da non poter influenzare di una virgola il mio giudizio complessivo su questa opera straordinaria. Scritto nella primavera del 1994, in uno dei periodi più tragici e drammatici dell'intera storia russa, questo saggio di Zinoviev conserva a più di vent'anni di distanza un'attualità e una capacità di fornire strumenti di interpretazione di ciò che accade nel mondo persino al giorno d'oggi, tale da farmi dire, senz'ombra di dubbio, che si tratti di una di quelle perle che non possono assolutamente mancare in nessuna biblioteca che si rispetti. Imperdibile, letteralmente imperdibile.
Zinoviev è scomparso da poco.Il libro in questione può,a mio avviso,rappresentare una sorta di testamento spirituale anche se è scritto alla metà degli anni novanta.E’ accaduto a Zinov’ev quello che accade a chi si mette contro i luoghi comuni di questo tempo.Quando sembrava che fosse un dissidente antisovietico e filoccidentale,fu esaltato come il più grande e corrosivo scrittore russo del 900,poi quando,con la stessa corrosività,negli anni novanta,attaccava il capitalismo occidentale,fu emarginato,escluso dai salotti e dalle televisioni di tutta Europa,Italia compresa.La sua colpa?Avere detto che la perestroika era una katastroika,cioè una vera e propria rovina per il popolo russo e gli altri popoli sovietici.In questo illuminante libro lo spiega con dovizia di argomentazioni.Un nostalgico dell’età Brezneviana?Certo.Ma ne più ne meno della stragrande maggioranza dei suoi connazionali.Solo che lui ci spiega perché.Ci spiega perchè il crollo della forma russa di comunismo abbia rappresentato un disastro epocale che,assieme allo stato autoritario,ha spazzato via una intera civiltà per lasciare posto ad una impressionante regressione sociale,morale e materiale inimmaginabile dai russi ma ben prevedibile per chi conosce gli effetti del capitalismo selvaggio nel terzo mondo.Come il Rutilio Namaziano del Ritorno,ma con più rabbia e senza elegia ,il suo è,nelle forme magistrali che gli sa dare il grande letterato,il grido disperato di chi ha visto un grande paese precipitare nella barbarie,in una rovina il cui unico senso era quello di soddisfare le sporche ambizioni interne e internazionali di una banda di ladri.Non è un libro per tutti. E’ un libro per chi vuole ragionare con la propria testa.Non certo per chi accetta l’ideologia e le favole accomodanti del pensiero unico della mercificazione capitalistica. Dr.Gilberto Sisini Ferrara
Le contraddizioni e le assurdità tipiche dell'attuale "guazzabuglio" politico e sociale: il recensore dell'INDICE prima rimprovera all'autore di essere nostalgico dell'età brezneviana, e poi dice che il libro .... "non si può condividere"!!! Ma - caro signore - dire che le idee di un libro non sono da condividere è tipico dell'età .... staliniana. Indipendentemente dal condividerle o no, le idee sono quelle di un russo che ha visto con estremo dolore l'incondizionata e incomprensibile volontà del suo popolo (che è stato grandissimo!) di "abdicare" a favore dell'occidente, cioè a favore di .... niente!
Recensioni
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scheda di Bongiovanni, B., L'Indice 1995, n. 3
Ricordate l'abbattimento del Jumbo delle linee sudcoreane da parte dei sovietici? Era il 1| settembre 1983. Nei giorni successivi il presidente americano Reagan ebbe a definire l'Urss un "Impero del male". La stessa definizione viene ripresa con sarcastica ironia dall'ex dissidente ed emigrato in Germania Zinov'ev, trasformatosi ora in nostalgico dell'età brezneviana. Il "comunismo", secondo Zinov'ev, è stato un'ideologia inventata e prodotta dagli intellettuali occidentali, ma divenuta realtà, dopo un complesso metabolismo e numerosi adattamenti, solo negli spazi dell'ex impero zarista. I russi, diversissimi dagli occidentali nella prospettiva neoslavofila di Zinov'ev, avevano così finalmente trovato l'assetto sociopolitico loro confacente. Con tale regime, giunto a una fase di "democrazia comunista" con Breznev, avevano infatti risposto in modo adeguato alle sfide dell'Occidente e dell'industrializzazione. Venne poi la 'Katastrojka'. Una smania di cambiare la natura stessa del sistema e sinanco del carattere nazionale dei russi assediò disastrosamente la leadership di Gorbacëv. Si cercò di riformare l'irriformabile e si perse tutto l'impero esterno, l'impero interno, la pur modesta prosperità, la moralità slava, il prestigio, l'onore. La strategia dell'Occidente, anticomunista per mera demagogia e interessato in realtà a mettere la Russia (non l'Urss) in ginocchio, raggiunse così il suo scopo con Eltsin. Un libro, questo, che non si può condividere, ma che si deve assolutamente leggere per la sua perversa e illuminante lucidità.
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