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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2022
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recensione di Esposito, E., L'Indice 1996, n. 8
Quando, nel 1963, Francesco Orlando pubblicò presso Scheiwiller il suo "Ricordo di Lampedusa", era inevitabile che l'attenzione del lettore fosse attratta e assorbita dalla personalità - eccentrica e indubbiamente affascinante - di colui che quelle pagine eleggevano a oggetto di affettuosa anche se non acritica osservazione: il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, assurto da pochissimi anni ("Il Gattopardo" era stato pubblicato nel 1958) ai fasti della cronaca letteraria.
Fasti improvvisi, come ognuno ricorderà, ai quali la persona di Tomasi era stata sottratta da una ancor più improvvisa morte: quanto bastava per innescare la curiosità non solo delle migliaia di "ingenui" lettori che avevano decretato il successo del romanzo, ma anche di quei critici che, senza voler confondere arte e vita, credono tuttavia che "ognuna delle due di per sé... può illuminare l'altra" (così Orlando, senza che ciò significhi concessioni a Sainte-Beuve, il cui fantasma viene anzi accuratamente esorcizzato).
Non che Orlando, nello stendere le sue pagine, muovesse da un simile proposito, almeno con dichiarata coscienza teorica; certo a lui stava meno a cuore il rapporto Tomasi-"Gattopardo" di quanto non sentisse necessario chiarire il rapporto che legava lui stesso a Tomasi.Un intento, dunque, di testimonianza, di quella testimonianza di prima mano che egli era fra i pochi a poter dare, ma che non poteva, d'altra parte, essere data allora per intero. Per questo, a un trentennio di distanza, abbiamo oggi non un altro "Ricordo di Lampedusa", ma quel ricordo arricchito o completato da uno scritto differente e attuale: "Da distanze diverse".
La prospettiva non è mutata: non solo perché, rispetto alle pagine nuove, resta preponderante l'antico "Ricordo" ("ristampato senza cambiarci una virgola"), ma perché nell'ottica della testimonianza ci si continua a muovere, sia pure col differente atteggiamento che gli anni trascorsi implicano di necessità, e con la maturata convinzione che "raccontare una storia con riserbo e senza menzogne insieme è, moralmente e materialmente, possibile una volta, non due".
Testimoniare, tuttavia, non significa soltanto dire ciò che si è visto, ma anche stabilire la propria posizione di testimone; e se ciò poteva restare in secondo piano quando a scrivere era un giovane ancora poco conosciuto, non si può negare che il lettore di oggi sia attratto dal ricordato non meno che dal ricordante, e pronto anzi a cogliere la "vibrazione d'anima" di queste pagine, una vibrazione che esclude - oggi come allora e oggi più di allora - qualsiasi freddezza di puro resoconto: "Per ogni tipo di ricostruzione metodica chiunque non abbia conosciuto l'uomo dispone d'una obiettività che per me è irraggiungibile".
È cosa che si avverte fin dalla prima affermazione del nuovo scritto: "È vertiginoso pensare che ho circa un anno di più dell'età che aveva lui quando è morto". Ed è cosa che lo stile, nella sua delicatissima e incontrollabile tessitura, non può non registrare (in termini di ellissi e di litoti, direbbe forse la retorica classica; in termini che un'altra retorica chiamerebbe di condensazione e spostamento).Tanto era lucido e disteso il fluire dell'antico ricordo, pur nella difficoltà di superare "imbarazzi, rancori, rimorsi, pudori", tanto l'attuale appare entropicamente "denso", composto con la "pena" che l'affievolirsi di quelli ha tuttavia lasciato: la pena di dover riandare, una volta di più, a un nodo in qualche modo irrisolto della propria esistenza, a una svolta essenziale e pure mancata, a un rapporto che sarebbe potuto essere diverso.
Le pagine che la nuova edizione aggiunge, pur parlandoci in termini più espliciti della complessità di un rapporto fra maestro e allievo in cui la diversità di età, di estrazione sociale, di ideologia venivano a confliggere su un ulteriore e più delicato piano, quello della creatività letteraria, documentano anzitutto - e in ciò continuano a farsi leggere come un romanzo - la storia di una formazione, la problematica costruzione della personalità con cui ogni ventenne si cimenta, ansioso di miti e impaziente di condizionamenti e di modelli: tanto da poter accogliere la notizia di una morte con il sollievo "d'una immensità fisica, come una soffocazione che sia cessata per sempre", e non smettere più ("secondo un vero e proprio contrappasso", poiché la morte tronca davvero ogni dialogo) di pagarne il prezzo.
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