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Alain de Benoist è ampiamente riconosciuto, nel dibattito delle idee, come l’esponente di punta della Nuova Destra. L’interessante saggio che Germinario ha dedicato al pensatore francese tocca tutte le tematiche care a questo filone di pensiero, nato in Francia ma sviluppatosi ben presto in tutta l’Europa già a partire dalla fine degli anni sessanta con la fondazione del GRECE. De Benoist ha tra i caposaldi della sua riflessione che è da definire metapolitica e non politica politicante, il suo radicale antiegualitarismo e una netta critica al giudeo-cristianesimo in favore del paganesimo. Secondo l’autore transalpino le ideologie affermatesi nella modernità sono “figlie” del monoteismo biblico; quindi il liberalismo, il marxismo, il nazionalismo di derivazione giacobina e illuminista, ma anche i totalitarismi che si sono affermati nel XX secolo fino ad arrivare ad un fenomeno relativamente recente, la mondializzazione capitalistica derivano dal biblismo di san Paolo e Abramo. Un altro tema ricorrente nella sterminata produzione saggistica di de Benoist, è il cosiddetto gramscismo di “destra”, per cui il filosofo francese riprende l’idea della conquista del potere culturale prima che di quello politico. Il paganesimo di de Benoist è pertanto l’unica via che gli permette di essere a destra, in quanto, rifiutando la modernità, si pone su una concezione ciclica o sferica del tempo in opposizione a quella lineare-vettoriale del progressismo e del monoteismo. Gli dèi per de Benoist rappresentano l’opposizione all’universalismo del Dio-unico del cristianesimo e di tutto quello che ne segue. De Benoist è stato molto criticato per il “differenzialismo” che, secondo i suoi detrattori non è altro che una forma di razzismo mascherato. Germinario, nell’analisi del pensiero debenoistiano, mostra come l’autore di “Visto da Destra” sia a favore del mantenimento delle proprie tradizioni, culture, religiosità per tutti i popoli della Terra e non stabilisce gerarchie tra razze umane.
Un bignami del pensiero di de benoist con il limite, oltre che oggettivo, data l'operazione di sintesi, peraltro pregevole, di fermarsi agli anni 70. Il testo rimane ancorato ad una sottile demonizzazione di de benoist, visto come un furbetto che cela la destra radicale dietro un velo di modernità. E poi non sopporto più i vincoli delle categorie di destra e sinistra che l'autore sostiene fino al surreale (ci si potrebbe chiedere: è di destra fare il bidet?). Non hanno più alcun valore euristico! Comunque: buona lettura!
Recensioni
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La figura di Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle Droite hanno alimentato, a partire dalla fine degli anni ottanta, una serie di analisi politologiche approfondite ed equilibrate (Anne-Marie Duranton-Cabrol, ???, 1988;>Pierre-Andrè Taguieff, il Mulino, 1994; Lorenzo Papini, Giardini, 1995), ben lontane dalla letteratura liquidatoria che le aveva precedute. Il nuovo saggio di Francesco Germinario, per mole documentaria e correttezza metodologica, s'inserisce pienamente in questa corrente di studi, costruendo un profilo articolato del pensiero benoistiano, che ne restituisce la complessa oscillazione fra apporti originali e radicamenti nella cultura di destra (Lapouge, Maurras, Evola, Spengler, konservative Revolution ). Significativamente, nella stessa formula che identifica il progetto politico benoistiano - il "gramscismo di destra" -, Germinario individua una riproposizione dell' apolitìa evoliana. Mentre sposta il campo d'azione dalla politica alla cultura - con l'obiettivo di porre le fondamenta di una salda egemonia culturale da tradurre poi sul terreno del consenso politico -, la Nouvelle Droite riconosce quella sublimazione nella metapolitica teorizzata dall'Evola di Cavalcare la tigre .
Nell'ambito di questa strategia gramsciana di lotta per l'egemonia culturale, Alain de Benoist propone un "aggiornamento" ideologico, volto a rendere presentabile una cultura di destra travolta da un discredito generale per essere identificata con gli orrori del nazismo e del fascismo. I caratteri maggiormente innovativi e ricchi di conseguenze politiche di tale operazione di "cosmesi culturale" risultano essere sostanzialmente due: da un lato, una visione "ontologica" del totalitarismo, dall'altro la teorizzazione del differenzialismo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la "terribile semplificazione" debenoistiana prende le mosse da una precisa dicotomia: da un lato, il monoteismo paolino, che porta con sé la desacralizzazione del mondo, l'omologazione delle differenze in nome della violenza egualitaria, il messianismo e la visione teleologica della storia; dall'altro il politeismo pagano, con la sua interpretazione magica del rapporto uomo-mondo, il rispetto della differenza, la concezione ciclica della storia. Traducendo nel linguaggio politico, san Paolo, espandendo in Occidente il monoteismo di Abramo, avrebbe creato Lenin e il rock'n'roll, Voltaire e Hitler, Robespierre e Mussolini. Universalismo, egualitarismo, totalitarismo, modernità, americanismo e liberalismo sono tutte conseguenze del monoteismo giudaico-cristiano. De Benoist approda, dunque, a una visione destoricizzata e depoliticizzata del totalitarismo: non riconducibili alle conseguenze della prima guerra mondiale (De Felice, Nolte, Mosse), né derivanti dal giacobinismo (Talmon), le origini del totalitarismo sono, per de Benoist, metapolitiche e religiose, poiché risalgono alla diffusione in Europa della predicazione paolina. Nazismo, fascismo, comunismo e liberalismo sono accomunati dalla medesima reductio ad unum delle diversità che è propria del monoteismo paolino: il liberalismo è così soltanto un "totalitarismo dal volto umano", una "climatizzazione dell'inferno totalitario". O meglio, è il comunismo realizzato, visto che non ha bisogno di ricorrere ai gulag per imporre il regime totalitario. Allo stesso modo, l'americanismo è la coerente realizzazione del progetto universalistico e mondialistico del monoteismo e la modernità è distruzione delle tradizioni culturali, obnubilamento del passato, appiattimento delle scansioni temporali. Proprio su tale "ontologizzazione" del concetto di totalitarismo si fonda la rilegittimazione politica della destra: se alla sinistra, in quanto figlia dell'egualitarismo monoteistico, sono da ricondurre tutte le declinazioni del totalitarismo (fascismo e nazismo compresi), la destra, che per definizione coltiva la differenza e il pluralismo, non può che avere radici pagane. Gli orrori della storia vengono, dunque, imputati alla sinistra, figlia legittima del monoteismo, e alla destra che si è fatta sinistra, scegliendo la via del totalitarismo: la "vera" destra, fedele al politeismo pagano, guarisce così dalla malattia del "nostalgismo", eclissandosi dall'orizzonte contemporaneo.
Il secondo aspetto rilevante del pensiero debenoistiano va visto nell'attualizzazione differenzialista del concetto di razzismo. Centrale nell'analisi di Germinario è qui il riferimento agli studi del sociologo francese Pierre-André Taguieff. Il neorazzismo, simbolico o velato, formulato in chiave differenzialista dalla Nouvelle Droite , è strutturato in modo da eludere i tradizionali modi di riconoscimento sociale del razzismo (discorsivo o comportamentale) e da aggirare le barriere simboliche delle legislazioni antirazziste. È caratterizzato, quindi, innanzitutto dal rovesciamento dei valori propri al relativismo culturale (passaggio dalla "razza" alla "cultura" e affermazione della radicale incommensurabilità delle culture); in secondo luogo, dall'abbandono del tema non egualitario e dal fatto di assumere come elemento assoluto la differenza culturale, da cui deriva la condanna della mescolanza e l'affermazione della reciproca non assimilabilità tra le "culture"; infine, dal suo carattere simbolico, in quanto rispetta le regole dell'accettabilità ideologica, anche attraverso una certa complessità retorica: si rifiutano i diversi pur celebrandone la differenza. Nella logica benoistiana, dunque, è l'antirazzismo universalista e illuminista il peggiore dei razzismi, in quanto distrugge le differenze culturalie assimila l'Altro distruggendone la diversità.
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