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Il simbolismo dell'occhio - Waldemar Deonna - copertina

Descrizione


L'occhio è il più prezioso fra gli organi di senso e il suo dominio sugli altri ha permesso all'intelletto umano di dar vita alla civiltà. Vedere significa prendere coscienza dell'ambiente: equivale a "sapere", possedere il mondo, dominarlo. Poiché dipende dalla luce che riceve, fonte della vita stessa, l'occhio è l'organo essenziale della vita dell'uomo, e della sua individualità. Per questi e mille altri motivi, l'occhio è stato da sempre al centro della cultura umana: trasformato in simboli, al centro di riti, protagonista di metafore. Il grande archeologo svizzero Deonna, in questo libro, frutto di una vasta erudizione, racconta e spiega, partendo dalle civiltà più antiche e lontane, perché, ad esempio, si chiudano gli occhi ai morti, oppure perché Dio e le divinità siano state rappresentate sotto forma di occhio. "Le Symbolisme de l'oeil" fu pubblicato postumo nel 1965 a Parigi e viene qui tradotto in italiano con un apparato di note che completa quelle dell'autore.
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Dettagli

2008
13 novembre 2008
XXXVIII-378 p., Brossura
9788833918525

Voce della critica

Waldemar Deonna, singolare e poliedrica figura di studioso, nato nel 1880 e morto nel 1959 a Ginevra, fu archeologo, ma la sua bibliografia si estende agli studi storico-filologici, con una speciale attenzione prestata alla storia comparata delle religioni e alla storia dei miti della psicologia collettiva. Nell'introduzione (Tra Bibbia e Surrealismo. L'occhio di Waldemar Deonna) Carlo Ossola colloca l'opera di Deonna all'interno dell'"autonomia" dell'occhio-idolo tipica del surrealismo, dallo Chien andalou di Buñuel all'"occhio zenitale" di Bataille, secondo la parabola simbolica dell'occhio nel Novecento disegnata dallo studioso nel saggio Un oeil immense artificiel (in Figurato e rimosso. Icone e interni del testo, il Mulino, 1988). La seconda matrice individuata, oltre a quella surrealista, è quella biblica, in primis di Deuteronomio 32,12 (con cui si apre il primo capitolo) e Genesi, ma anche del Cantico, un codice che è alla base anche della tradizione medievale sugli occhi nella lirica amorosa coeva (Guinizelli e Dante) e che arriva fino a Gabriele D'Annunzio.
Il simbolismo dell'occhio uscì postumo nel 1965. Se di per sé il testo, nella presente traduzione, occupa poco più di cento pagine, è il sistema delle note che impressiona: come ha messo bene in risalto Sabrina Stroppa, esso forma un immenso paratesto che corre parallelo al testo principale, il quale offre un "colpo d'occhio" sul tema che poi le note approfondiscono in tutti i suoi aspetti.
Lo studioso ginevrino affronta un percorso affascinante, all'insegna dell'ossessione dell'occhio in tutte le sue forme e rappresentazioni simboliche: l'occhio spirituale, immateriale o interiore; il singolo occhio, con funzione apotropaica; il dono della seconda vista, della chiaroveggenza, considerato come il possesso di facoltà psichiche speciali tipiche di profeti, indovini, sciamani, medium, mistici, spesso reso possibile dalla perdita dell'occhio fisico; occhio buccale, orecchio oculato, mano oculata e altre curiosità, di cui si fornisce sempre l'evidenza di immagini, statue o rappresentazioni (in un libro totalmente senza immagini); occhio alato. L'occhio è simbolo della curiosità: così per gli egizi la rana è simbolo della curiosità per i suoi occhi enormi, e nel Rinascimento la Curiosità è raffigurata come una donna dall'abito disseminato di orecchie e di rane. L'occhio può essere ricettivo e attivo (lo sguardo come contatto a distanza), creatore (in primis delle lacrime, che hanno potere fecondatore), malefico e benefico. Esistono tabù visivi (sangue mestruale, vista degli stranieri); inoltre, lo sguardo deve essere protetto: così si coprono gli occhi dei morti, perché, attraverso il loro sguardo vitreo e fisso, l'anima del defunto potrebbe ancora manifestarsi e arrecare danno. Queste e molte altre curiosità si potranno trovare in un libro che è una vera e propria miniera di notizie, informazioni, spunti originali.
Vorrei però muovere una critica, non certo al lavoro di Sabrina Stroppa, che ha tradotto e curato in una maniera che rasenta la perfezione un testo di assoluta difficoltà, ma alla scelta editoriale di pubblicare tutte le note in fondo al volume e non a piè di pagina. In un libro in cui ogni pagina ha una media di venti note è fastidio non piccolo quello di distogliere continuamente lo sguardo (l'occhio distrofico, direbbe Deonna) dal testo per andare a leggere le note. Con questa scelta tipografica, la lettura è molto più disagevole e quello che ne risente non è solo l'occhio del lettore.
Rosa Maria Parrinello

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Conosci l'autore

Waldemar Deonna

Waldemar Deonna (1880-1959), figlio del viceconsole di Danimarca, Svezia e Norvegia in Svizzera, e di una danese, compì i suoi studi alla Scuola francese di archeologia di Atene. Dal 1920 al 1955 fu professore di archeologia classica a Ginevra. Nel 1932 fondò l’importante rivista «Genava». Dal 1922 fu inoltre direttore del Museo di arte e di storia e del Museo archeologico di Ginevra e, dal 1950, diresse la nuova Bi­blioteca di arte e di archeologia. Tra le sue pubblicazioni: Les Apollons archaïques (1910); L’archéologie, son domaine, son but (1922); Du miracle grec au miracle chrétien (3 voll., 1945-48).

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