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Consiglio questo libro anzitutto a chi ha interessi storici, dal momento che il profilo della personalità del nazista che emerge dal dialogo in carcere con il resistente polacco ci permette di comprendere l'ideologia nazista e tutto quello che ne è conseguito. Anche la sola lettura comunque non delude: narrazione e dialoghi incisivi scandiscono il ritmo, ben espressi addirittura a volte tra ironia e sarcasmo.
Molto interessante la rievocazione di alcuni eventi storici, raccontati dalla prospettiva di un convinto nazista, che ne fu l'artefice. Emerge l'ottuso plagio ideologico, cui i nazisti SS furono sottoposti, e che colpevolmente recepirono in toto in maniera acritica. Qualche riserva sull'attendibilità storica di alcuni dati riportati. Nel complesso lettura soddisfacente e consigliabile.
Recensioni
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Se si volesse attribuire un parto concettuale al XX secolo, gli si potrebbero riconoscere, fra le innumerevoli altre, due creature: l'indicibile e l'impensabile. La seconda, a sua volta, figlia della prima, ma anche sorella indipendente. L'indicibile è la Shoah, che rende ugualmente afasici i carnefici, inabili ad ammettere pienamente le colpe, e le vittime dirette e indirette impossibilitate a sostenere l'onere della memoria nella sua interezza. Ma indicibili sono anche le reiterate stragi di civili, i genocidi, gli stupri di guerra, il terrore ideologico, il razzismo di stato. Impensabili, anche, o pensabili attraverso forme traslate di narrazione, che rendono tollerabile ciò che tollerabile non sarebbe. Ma, all'interno di tutto questo orrore, si delineano talvolta episodi impensabili, nel senso di impossibili o inimmaginabili prima del loro palesarsi. Sono gli inattesi atti di eroismo e le azioni dei giusti, i nemici che si trasformano in amici e viceversa, gli incontri surreali tra carnefici e vittime in contesti altrettanto improbabili.
Quest'ultimo è il caso di Kazimierz Moczarski, di formazione democratica e membro attivo della lotta antinazista in Polonia, combattente dell'Armia Krajowa (l'esercito interno), a lungo in stretto legame con il governo polacco in esilio. Alla fine della guerra, invece di ricevere i prevedibili riconoscimenti o almeno la prospettiva di una vita libera, quasi tutti i membri dell'Armia Krajowa vennero arrestati, processati e condannati quali cospiratori anticomunisti, collaborazionisti degli occupanti, traditori. Moczarski fu imprigionato nel 1945 dal servizio di sicurezza comunista e nel 1946 condannato a dieci anni di carcere, poi ridotti a cinque. Nel 1948 fu aperta contro di lui una nuova inchiesta, con l'accusa di collaborazionismo e progettazione di omicidio di alcune personalità della sinistra polacca. Nel 1952 arrivarono la sentenza di colpevolezza e la condanna a morte, che non fu mai eseguita. Moczarski fu liberato, assolto e riabilitato solo nel 1956, nel clima del disgelo post-stalinista.
Già la sua storia, così narrata, sarebbe di per sé impensabile; anche le reti della censura contribuirono a renderla a lungo inconcepibile, ostacolandone per decenni la sua diffusione in patria e all'estero. Ma all'interno dell'impensabile si manifestò qualcosa di ancor più inimmaginabile: nel 1949, per 255 giorni, Moczarski divise la sua cella nella prigione di Mokotów a Varsavia con Jürgen Stroop, SS-Gruppenfürer, responsabile nel 1943 della Grossaktion, la liquidazione del ghetto di Varsavia e lo sterminio di settantunomila ebrei, e con Gustav Schielke, per anni sottufficiale della squadra del buon costume e, durante la guerra, ufficiale di grado più basso delle SS.
Nel pochi metri quadrati della cella si trovarono a convivere non solo i reduci di due opposti schieramenti bellici, come Stroop non mancava mai di sottolineare, ma soprattutto depositari di due opposte concezioni del mondo, dell'etica, della considerazione stessa degli esseri umani. Moczarski decise con estrema lucidità, fin dai primi giorni, di approfittare dell'eccezionale condizione per raccogliere informazioni preziosissime, che, una volta tornato in libertà, non mancherà di verificare su documenti d'archivio e altre fonti.
Ne esce una descrizione rigorosamente cronologica della vita di uomo educato ai più rigidi principi nazionalisti, militari e di cieca obbedienza, che dispiegherà pienamente nell'adesione al nazismo, che ai suoi occhi diventerà anche occasione irrinunciabile per una carriera rapida e insperata. Molti elementi colpiscono delle confessioni di Stroop, ma anche del suo comportamento messo in atto nella piccola cella, in condizioni di estremo disagio, nel contesto di una quotidianità ripetitiva, intercalata esclusivamente da durissimi interrogatori.
Stroop risulta depositario di quella che il sociologo Jan Strzelscki ha sapientemente definito "morale politica superiore", secondo la quale conta solo ciò che è utile ai fini della politica perseguita, tutto il resto diventa inutile o dannoso. Ma è anche custode di un'antichissima etica militare, che riconosce al nemico una qualche dignità, anche nelle condizioni più estreme. Non a caso è disposto a concedere a Moczarski l'unico letto della cella: "Il letto spetta a lei, in quanto membro del popolo vincitore, del popolo che comanda su questo paese e, quindi, del popolo dei signori. (Disse: Herrenvolk)". Passivo ricettore del più bieco antisemitismo, che lo porta a definire gli ebrei "quasi degli animali, o degli uomini incompleti", non manca però di riconoscere organizzazione e valore militare agli insorti del ghetto, che si difesero con estremo coraggio, rallentando e ostacolando le operazioni di liquidazione e sterminio.
Stroop ripercorre le tappe della sua carriera, i successi militari, le promozioni, i luoghi dove fu inviato: dalla Cecoslovacchia all'Ucraina (dove organizzò lo sterminio di 550.000 ebrei), dalla Polonia alla Grecia. Con palese disagio racconta i giorni finali della seconda guerra mondiale, l'avvicinarsi della sconfitta e la perdita di tutti i privilegi. Nei suoi racconti, spesso molto precisi, ricorrono i richiami alla fedeltà agli ideali e ai superiori, la concezione del mondo diviso fra dominatori, schiavi ed elementi da eliminare, la tensione continua verso l'efficienza e l'efficacia delle sue azioni, le soddisfazioni per i salti di carriera e per il riconoscimento dei capi. Ne esce un ritratto che suscita alternativamente sgomento e curiosità, disapprovazione e umanità. Umanità intesa nei suoi istinti peggiori e nelle sue aspirazioni più basse, ma anche nelle inattese debolezze, nel palesarsi di un senso di vergogna e disonore di fronte a responsabilità e colpe, che non riescono a trovare autogiustificazione neppure all'ombra delle ideologie più totalizzanti. Jürgen Stroop fu condannato a morte, la sentenza fu eseguita il 6 marzo 1952 nella prigione di Mokotów. Testimonianze raccolte da Moczarski lo descrivono tranquillo, sicuro della giustezza delle proprie azioni e pieno della "boria nazista" fino agli ultimi istanti di vita.
Conversazioni con il boia, che è corredato da un saggio finale di Adam Michnik e da una cronologia della vita di Moczarski, è un libro fondamentale per chi intende affrontare le categorie storiche, culturali ed emotive necessarie per approssimarsi alle due creature maledette del XX secolo: l'indicibile e l'impensabile.
Donatella Sasso
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