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Il 10 settembre 1928, durante un'escursione sulle vette del Tirolo, nella valle dello Ziller, il dentista lettone Max Halsmann cade in un dirupo. Il suo corpo presenta ferite alla testa incompatibili con una semplice caduta. Unico testimone dell'incidente è il figlio Philipp (divenuto nel dopoguerra uno dei più noti fotografi del mondo, ritrattista delle massime personalità del tempo), che fornisce alle autorità una ricostruzione confusa e viene arrestato il giorno stesso con l'accusa di parricidio. Inizia a Innsbruck uno dei processi più discussi di quegli anni. In un testo basato su ricerche d'archivio, a metà tra romanzo (riconducibile al genere del legal thriller) e ricostruzione storica, Pollack ne ripercorre la vicenda: i due gradi di giudizio, le richieste di invalidazione e le istanze di grazia. Ne esce il ritratto di un processo per l'epoca sorprendentemente strutturato: il susseguirsi di colpi di scena e lo straordinario interesse popolare rimanda ai processi "mediatici" dei giorni nostri, mentre l'ombra dell'antisemitismo gli Halsmann sono ebrei in un'Austria sempre più influenzata dai venti xenofobi della vicina Germania rimanda ai contorni di un processo politico. Un dibattimento controverso, dove i giurati che dapprima condannano in seguito sottoscrivono la richiesta di grazia, dove il principio giuridico dell'in dubio pro reo è sistematicamente disatteso, dove trovano spazio persino considerazioni di natura epistemologica (la corte discute lungamente se per la perizia sul carattere dell'imputato sia più adeguata la scienza psicologica o la nascente psicoanalisi) e che vede intervenire nel dibattito, a favore dell'imputato, le più importanti personalità del tempo: da Thomas Mann a Sigmund Freud, da Albert Einstein a Erich Fromm.
Tazio Brusasco
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