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Nell'ultimo libro dello storico dell'arte inglese Michael Baxandall (1933-2008) sono raccolti sette saggi, tre dei quali inediti e quattro pubblicati in precedenza tra il 1963 e il 1992. L'unità del libro deriva tanto dall'ambito geografico e cronologico scelto, l'Italia del Quattrocento e del primo Cinquecento, quanto dalla coerenza del metodo di Baxandall, basato sull'assunto che per poter formulare un discorso sulle arti figurative, ossia sulle ragioni e sulle cause di ogni opera, è necessario essere disponibili a comprendere punti di vista diversi da quelli ai quali siamo abituati. I trattati dedicati alle arti e alla composizione letteraria, così come i componimenti poetici, nascondono numerosi indizi sul senso coevo delle immagini, nonché sulla sensibilità e sulla cultura di coloro che le osservarono; possono quindi essere interpretati come critica d'arte, con la consapevolezza che la critica non testimonia tanto dei fatti, quanto di opinioni, di regole, di interessi consapevoli e di atteggiamenti mentali inconsapevoli.
Il primo saggio è dedicato all'identificazione degli schemi mentali e retorici messi in atto da autori quali Francesco Lancillotti, Rodolfo Agricola, Giovanni Santi e Leon Battista Alberti nell'affrontare temi legati alle immagini. Sulla "forma mentis" di Alberti si sofferma il secondo saggio, nel quale è espresso un avvertimento fondamentale per chiunque pratichi la storia: non confondere le fonti con le cause. Il terzo saggio, scritto nel 1963, richiama più degli altri l'atmosfera dell'istituto Warburg di Londra, frequentato dall'autore a partire dal 1959; di un dialogo letterario di Angelo Decembrio è qui analizzato un monologo pronunciato dal personaggio di Leonello d'Este sugli intagli, sulla pittura e sulla poesia. Nel capitolo successivo Baxandall, ripercorrendo il De inventione dialectica di Rodolfo Agricola, fornisce una prova supplementare a sostegno di un'argomentazione centrale nei suoi lavori pubblicati in precedenza, specialmente in Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento (1972; Einaudi 1978 e 2001) e in Forme dell'intenzione (1985, Einaudi 2000): l'importanza del committente come "autore" e "causa" principale di un'opera. Il momento critico della traduzione è il tema del quinto saggio, dedicato ai modi in cui, nell'inglese cinque e seicentesco, è stata resa la parola italiana "disegno" impiegata nei testi rinascimentali. Il penultimo saggio affronta la sequenza significativa dei temi trattati da Jacopo Sadoleto nel poemetto composto in occasione del rinvenimento, nel 1506 a Roma, del gruppo scultoreo del Laocoonte. L'affresco della Resurrezione di Piero della Francesca è il tema dell'ultimo saggio; il dipinto è analizzato come un insieme di "eventi pittorici" pregnanti, ognuno dei quali dà luogo a osservazioni concrete e penetranti che formano un'aggiunta sostanziale a quanto già scritto su Piero, dall'autore, nei due volumi citati.
Baxandall conclude il libro con una dichiarazione di umiltà, di incertezza, quasi di rassegnazione, laddove ricorda che "si può dire ben poco" di un dipinto; ma se il discorso sulle immagini può essere paragonato a una danza "con un'agile sconosciuta", ciò significa soltanto che la danza, come la pittura, è incommensurabile con la scrittura. Nicola Prinetti
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