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Meno letteratura, per favore! - Filippo La Porta - copertina
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Meno letteratura, per favore!

Descrizione


Abituati a ogni genere di additivo, troviamo naturale che l'informazione sia potenziata con artifici narrativi, e non siamo disposti a rinunciare agli aromi intellettuali che eventi, mostre, festival, inserti-libri cospargono nella nostra vita quotidiana. Ne guadagniamo una sofisticatezza a basso costo, aggiornata e interattiva, irrimediabilmente semicolta, che si alimenta di letterarietà diffusa, ossia di finzionalità. A Filippo La Porta sta a cuore proprio quello che i riti collettivi dello snobismo di massa e le attrattive dell'immaginario unico rischiano di farci perdere: il gusto della realtà, raccontata o interpretata, l'esperienza di una finzione messa in pagina che rimanda al di là dell'architettura di parole. Ma la sua educata invettiva non ha nulla delle lamentazioni apocalittiche; preferisce la concretezza delle controtendenze in atto, si tratti di scrittori in cui la lingua conserva tracce vibranti dell'attrito che la genera, o di lettori-individui, senza affiliazione, mossi soltanto dalle loro personalissime passioni. Nella democrazia del consumo culturale si aprono allora piccole faglie di curiosità, di idiosincrasia non omologabile, di giudizio eretico. Forse soltanto questo popolo disperso salverà la lettura.
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Dettagli

2010
14 ottobre 2010
138 p., Brossura
9788833921594

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gabril
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Beh, si sa: i critici sono un tantino antipatici...così saccenti, scostanti e piccati (verso le critiche degli altri) e così definitivi e definitori, infine, nel disegno netto dei loro canoni letterari personali. Ma qualche dritta, bisogna essere sinceri, spesso te la danno. E Filippo La Porta -va detto- è il meno antipatico di tutti. La letteratura è pur sempre - nel suo intimo e profondo farsi - racconto della realtà; rispecchiamento di verità (frammentarie e molteplici, certamente); divaricazione fra reale e reality, anti-fiction. Come affermava Flaubert, l'inventore del romanzo moderno: se il linguaggio è curato (scelto, meditato) esprime il vero. Se la lingua è falsa, falso sarà anche il libro e ciò che contiene. E, a quanto pare, abbiamo bisogno tutti di continuare a interrogarci, a comprendere e correggere le definizioni di quel che abbiamo compreso su noi stessi e sulla realtà. E dunque, a conclusione dell'invito iniziale a non far letteratura sui fatti per intorbidarli con le narrazioni (vezzo di certo giornalismo odierno), La Porta azzarda a dire che "l'esperienza della lettura appare ancora come la migliore approssimazione a un'esperienza reale. Ovvero: incontro perlopiù accidentale, avventuroso, di un individuo con qualcosa che non può controllare e che lo modificherà in modo irreversibile". Forse il lettore che tutti in fin dei conti siamo. O che -almeno- aspiriamo a diventare.

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alida airaghi
Recensioni: 5/5

In questo libro, La Porta mette in guardia dai letterati di professione, che scrivono recensioni "quasi sempre astiose o servili". Ma è altrettanto giustamente severo verso il consumo e l'utilizzo acritico, spacciato per democratico ma sempre più spesso, invece, umorale improvvisato e autocelebrativo, della letteratura: sia come produzione che come fruizione. La diffusione di eventi culturali di massa ( mostre, fiere del libro e delle idee, siti internet aperti a qualsiasi collaborazione - anche superficiale e supponente - per finire con l'autoproduzione e stampa di libri di cui si potrebbe fare tranquillamnete a meno) non sempre significa conquista democratica del sapere. Non è all' uomo-massa che possiamo demandare la riappropriazione del "fare cultura", bensì all'individuo, "inappartenente e disorganico", "che legge quei pochi romanzi e saggi di cui fiuta una qualche necessità, e qualche volta se ne fa modificare l'esistenza". E ancora:"una democrazia letteraria è reale quando i lettori sanno badare a se stessi, senza farsi troppo influenzare da classifiche, pubblicità e lanci promozionali..." Quali sono, quindi, secondo La Porta, i libri necessari, fondamentali, che cambiano la mente e il cuore? Quelli che nascono da un attrito, da un turbamento, da una sconnessione tra la lingua che usano e ciò che è altro: la creazione letteraria deve avere origine e insieme produrre "una scintilla, un contatto elettrico". Non limitarsi a descrivere la realtà, ma "aggredirla,snidarla". I nomi su cui si sofferma l'autore appartengono sia a un consolidato establishment letterario mondiale (Wallace, Bolano) sia alla nostra narrativa di successo(Ammaniti, Veronesi), sia a realtà più marginali e misconosciute (i Migrant writers, Franchini, Trevisan, Pecoraro, Pascale..) Insomma, la letteratura ha ancora un "potere di rivelazione" e può tuttora salvarci, se appena riusciamo a imbatterci nei suoi prodotti migliori come in un'esperienza reale, trasformatrice. E il libro di La Porta ci sprona senz'altro in questa direzione.

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Voce della critica

La letteratura è diventata un fumo colorato e un aroma gradevole, che sempre più spesso entra nel discorso di un politico o di un giornalista o di un consumatore, si fa ancella docile di piccoli poteri, esibizionismi, abbellimenti. Dopo decenni di laicizzazione e di smitizzazione a livello teorico-critico, di emarginazione nella cultura radiotelevisiva e di ridimensionamento nell'insegnamento scolastico, la letteratura sembra ritrovare paradossalmente una nuova aura, e tuttavia servile, strumentale e inerte. Che comporta un totale "svuotamento del proprio incandescente nucleo critico-utopico, della propria immensa potenzialità conoscitiva".
Questo è il nucleo problematico centrale di un rigoroso e insieme vivace pamphlet di Filippo La Porta, che non a caso nella sua bibliografia, accanto a rassegne e saggi di acuta analisi critico-letteraria, presenta illuminanti demistificazioni delle varie forme di banalizzazione e impoverimento dell'italiano parlato, come piccole ma significative manifestazioni di conformismo e opportunismo nella società italiana di oggi. E allora, invoca La Porta, "meno letteratura, per favore. Meno letteratura come alibi e decorazione, come consumo più o meno chic e status symbol, (…) come elegante addomesticamento di tutto ciò che è sgradevole".
È una situazione, tra l'altro, che investe di grandi difficoltà e responsabilità gli scrittori, perché "la realtà" sembra quasi sparita, nascosta o manipolata nelle simulazioni della pubblicità e della televisione, o mascherata da una letterarietà confortevole e vacua. Ecco perciò l'argomentato richiamo di La Porta ad alcune fondamentali esperienze intellettuali e letterarie del passato, da Volponi a Pasolini a Gadda, che avevano già preso coscienza di una "irrealtà" irrigidita in schemi e modelli convenzionali, e che si proponevano di cogliere la logica più profonda e imprevedibile della "realtà" sommersa, i suoi segreti meccanismi, movimenti, trasformazioni. La Porta cerca allora, in una serie di efficaci ritratti critici di narratori contemporanei soprattutto italiani, i segnali di una letteratura capace di contrapporsi a quella diffusa, insinuante, degradata letterarietà: da alcuni degli autori oggi più fortunati alle nascenti forme di "letteratura migrante" e "meticcia". Sono pagine spesso convincenti e nuove, che appaiono peraltro sottilmente insidiate da un disincanto se non sfiducia di fondo, ben condivisibile anch'esso.
La Porta conclude infatti che nonostante tutto, i narratori italiani attuali non hanno l'"intelligenza" di quelli delle generazioni precedenti: "'Intelligenza' della letteratura nel senso che ogni romanzo ci dà o ci dovrebbe dare, un'idea precisa della realtà, della vita e della morte, del destino e del nostro tempo". I nostri narratori attuali, in sostanza, sono "meno 'intelligenti' (…) soprattutto perché nessuno glielo chiede più": né i lettori, né gli editori, né i critici, né gli altri scrittori, né la società nel suo insieme.
Si pongono perciò nuove responsabilità per tutti questi protagonisti, a cominciare dai lettori. La Porta traccia in proposito un suggestivo ritratto del lettore ideale, capace di non farsi conquistare dalle logiche perverse dell'"evento" pubblico, della macchinapromozional-pubblicitaria e della comunicazione di massa, e capace di costruirsi invece un percorso "individuale" di letture che sente come necessarie, aiutato magari da qualche critico ancora affidabile. È una figura semplice quanto fondamentale, e decisiva quanto rara, non soltanto sul piano dei numeri: ma credo che non la si debba considerare (come fa La Porta, quasi a mettere in guardia da facili ottimismi) un'"utopia", almeno nel significato concreto e acquisito del termine. Lettori come quello immaginato da La Porta non mancano, ma è compito degli altri protagonisti, e dei critici in primo luogo (come del resto lo stesso La Porta auspica), stare dalla loro parte, con un onesto lavoro di informazione fondato anche sulla critica e sul disvelamento di tutte quelle logiche perverse più o meno occulte, che svuotano la letteratura di tutta la sua potente specificità e la riducono in una condizione di subalternità avvilente. Una critica insomma, non soltanto dei prodotti ma anche dei processi. Il lettore allora potrà costituire oggettivamente, e forse anche esercitare soggettivamente, una domanda, un'attesa, una disponibilità autentica nei confronti degli scrittori e della letteratura stessa. Chiudendo così il cerchio.
Gian Carlo Ferretti

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