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Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative
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Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative - Giorgio Lunghini - copertina
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Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative

Descrizione


Il lettore d'oggi ha, per sentito dire, una conoscenza superficiale delle dottrine economiche e anche se ha un'idea di chi siano Smith, Ricardo, Marx e Keynes ignora forse del tutto il modo in cui il loro pensiero ha inciso nella costruzione delle teorie economiche. È per rimediare a queste lacune nell'esposizione della storia economica che Giorgio Lunghini si è applicato per la prima volta in un libello che decostruisce i miti che hanno alimentato due secoli di opposte visioni del progresso: la teoria ricardiana della distribuzione, la teoria marxiana della crisi, la teoria keynesiana dell'occupazione. Il trionfo della teoria neoclassica ha visto imporsi un sistema fallace in cui l'homo ceconomicus prende le sue decisioni sul futuro in condizioni di certezza e conoscenza illimitata, in cui le crisi sono degli accidenti e non la norma, una visione del mondo non realistica la cui conseguenza si traduce in una politica del lassez-faire. Giorgio Lunghini si augura che l'economia finalmente smetta i panni di scienza "triste" e che, tornando a occuparsi della felicità dei popoli, sappia riappropriarsi nuovamente del futuro.
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Dettagli

4
2012
15 marzo 2012
132 p., Brossura
9788833923079

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Giampaolo
Recensioni: 5/5
Eccellente

Il massimo della chiarezza, logica e sintesi sull’economia politica

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vitaliano bacchi
Recensioni: 3/5

La critica più interessante del libro è la pars destruens avente per oggetto la denuncia del disastro epistemico costituito dall'impiego di modelli matematici in economia. L'autore censura la propensione degli economisti che hanno trasformato l'analisi del sistema economico in paludate quanto ridicole esibizioni di eleganti quanto inutili equazioni nemmeno conferenti alla risoluzione di problemi del condominio. Individuata e ben criticata la vanità di pseudoeconomisti ai quali più preme intercalare nel loro saggio buffe e pletoriche equazioni che non invece spiegare gli effetti e le tendenze dei fenomeni sociali reali, e quindi dato il proprio contributo alla scepsi attuale antiformalista dell'analisi economica ed al rifiuto di una modellizzazione congrua al gioco del monopoli e non ai fenomeni economici reali del sistema sociale, è a questo punto che l'opera presenta il suo aspetto più enigmatico, perchè con premesse di questo tipo era difficile ritenere che l'analisi di un autore come Sraffa potesse essere assolutoria e invece lo è, finanche con esito apologetico. Sraffa è il tipico giurista, come Modigliani, che si occupa di economia affascinato dalla possibilità di operare con uno strumento estraneo al suo corso di studi, la matematica, subendone il fascino ed il prestigio che in varie altre discipline ha un senso, ma non in economia. I dilettanti fanno sempre disastri, come insegna Marx con la sua adleriana "soggezione" a David Ricardo e l'opera di Sraffa ne è esempio. La riduzione a equazione del concetto economico di valore, in manifesta suggestione del forte impianto matematico di Marshall e, soprattutto, il sacrificio di una teoria sociale del salario a vantaggio della infame "legge dello sfruttamento" declinata sul rapporto di funzione fra saggio di profitto e livello dei salari, sono idee e teorie che potevano scaturire solo da una suggestione-mito per l'analisi economica con equazioni, ma che sviano e corrompono la sola analisi, quella sociale

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