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Il compagno vivo. Si può strappare un bambino alla pazzia? - Anne Alvarez - copertina
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Descrizione


I bambini che hanno subito, nella mente e nel corpo, la prepotenza della sessualità adulta, che hanno sopportato la violenza o l'indifferenza e l'abbandono, o che, al contrario, sono rimasti vittime di una loro misteriosa sensibilità a sofferenze molto meno significative, tutti questi bambini possono sperimentare un tipo di assoluta disperazione e di cinismo che rende necessario un trattamento a lungo termine e mette a durissima prova il coraggio e la resistenza dello psicoterapeuta. Questo libro di Anne Alvarez riflette trent'anni di esperienza con bambini e adolescenti autistici, psicotici e borderline, curati con i metodi della psicoterapia psicoanalitica che l'autrice ha tratto dalla propria intensa esperienza di psicoterapeuta infantile alla Tavistock Clinic. Gli odierni sviluppi della teoria e della tecnica psicoanalitica ci dicono che questi bambini possono essere curati con un certo successo. L'autrice espone e discute questi sviluppi, descrive anche alcune delle aree di convergenza e divergenza tra le teorie organiciste e psicodinamiche dell'autismo, rivolgendosi a tutti i professionisti che si occupano di bambini e di adolescenti, così come a chiunque sia interessato alla pazzia e allo sviluppo mentale.
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Dettagli

1993
1 febbraio 1993
256 p., Brossura
9788834010822

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Integrando la moderna teoria psicoanalitica con le scoperte più recenti sull’evoluzione infantile, Anne Alvarez delinea nuovi metodi per comprendere e aiutare i bambini e gli adolescenti autistici, psicotici e borderline. Argomento centrale del libro è il resoconto commovente della lunga lotta di Robbie, un bambino gravemente autistico, tra la sanità e la pazzia, e del duro viaggio compiuto assieme all’analista per giungere a una nuova comprensione e a una guarigione parziale.

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Voce della critica


recensione di Ferretti, A., L'Indice 1994, n. 4

Risultato di una lunga esperienza nel trattare con gli strumenti psicoanalitici bambini molto gravi, autistici, psicotici o borderline, "II compagno vivo" di Ann Alvarez esplora le condizioni di base dello sviluppo psicologico, emotivo e cognitivo. Il centro del libro è la lunga analisi di Robbie, un bambino autistico particolarmente inerte e spento: analisi iniziata quando Robbie aveva sette anni e ancora in corso al momento in cui Alvarez scrive di lui e Robbie ha trentun anni: non un grande successo terapeutico, ovviamente, commenta con ironia l'autrice, ma un'importante occasione per tentare di comprendere meglio stati patologici così gravi.
Il racconto di questo lungo impegno terapeutico descrive la lotta per strappare Robbie al suo vuoto, le difficoltà incontrate, e i tentativi di superarle; rivela quanto la presa dell'autismo (la variante più assoluta dell'allontanamento psicotico dalla realtà) possa in casi estremi essere resistente e capace di riaggiustarsi continuamente perché ingloba al suo interno progressi e acquisizioni, chiudendoli di nuovo nel cerchio di una ripetizione che svuota; mette in luce la tenacia con cui Alvarez tenta di stabilire un contatto significativo col suo paziente, mentre, all'interno di un solido e ben sperimentato metodo psicoanalitico, spinge la teoria psicoanalitica di orientamento kleiniano a esplorare questi territori di confine, costruendo, quando ne ha bisogno, un aggancio con le recenti ricerche di psicologia evolutiva. La riflessione sulla sua esperienza porta Alvarez a mettere l'accento su un particolare aspetto del compito di chi si impegna a lavorare con questi bambini: se gli stati autistici possono diventare uno stile di vita, o di non vita, al cui interno il paziente si annida, se in questi bambini non si accendono spinte autonome verso il contatto n‚ con se stessi, n‚ con altri esseri umani, n‚ con la realtà delle cose, tocca al terapeuta chiamarli alla vita, svolgere quella che Alvarez propone di pensare come una funzione di "richiamo" ('reclamation'). Ma come può essere concettualizzata questa funzione? Alvarez comincia descrivendo efficacemente sia l'angoscia di Robbie che vive in un mondo che è "una rete con un buco", sia la sua difficoltà di analista che tenta di mettersi in contatto con lui: nel mondo vuoto di Robbie non c'è terreno sotto i piedi n‚ per lui, trattenuto solo da un esile filo d'erba dal precipitare nel nulla, n‚ per lei, che deve porsi il problema di come agevolare o al meno permettere la costituzione di un terreno relazionale minimo su cui possano fondarsi le acquisizioni psicologiche mancanti. Di qui l'interesse per il problema ancora abbastanza misterioso delle condizioni che sono alla base dello sviluppo e lo rendono possibile. Robbie, quando dopo molti anni è in grado di parlare della sua esperienza, dice che qualcuno gli ha gettato una lunga lunga fune, che l'ha tirato su dal profondo pozzo in cui giaceva. Alvarez si ferma a riflettere su questa fune: come può essere pensata questa funzione di attirare, svegliare, chiamare alla vita? Alvarez si collega alla più recente psicologia evolutiva, dove l'analisi dell'interazione tra madre e bambino ha messo in luce le funzioni complesse e altamente organizzanti che compie la madre di un neonato, oltre al nutrire, curare e contenere. La funzione essenziale sembra essere quella di incanalare, modulare, focalizzare e organizzare ritmicamente gli eventi della relazione e, per questa via, della vita psichica del neonato. Le nuove ricerche hanno messo in luce che le madri usano istintivamente ripetizioni e variazioni, intensificazioni e rallentamenti, innalzamenti e abbassamenti per dare forma e ritmo agli eventi della relazione, quello che Meltzer chiamava il 'canto-e-danza' della relazione emotiva che viene prima e crea la forma (la grammatica profonda di Chomsky) su cui si disporrà la sintassi dello sviluppo mentale. Ma con alcuni neonati particolari, un po' più passivi, un poi meno vitali, o con tutti i neonati in momenti particolari, le madri non si limitano a dare forma e senso agli eventi della relazione in corso, ma attivano, accendono, suscitano interesse, partecipazione, vita e attenzione nel loro bambino. Queste nuove osservazioni aiutano anche a comprendere meglio le difficoltà che può trovare una madre quando qualcos'altro, la sua depressione, ansia, difficoltà, situazioni stressanti o traumatiche nella sua vita, non la lasciano libera di farsi guidare dal suo orecchio interno (che è poi la sua esperienza neonatale profondamente inscritta dentro di lei e rielaborata nel corso della sua vita) e impegnarsi liberamente nell'interazione col bambino.
Le madri insomma non solo nutrono e curano i loro bambini (la funzione esplorata dalla Klein), non solo contengono e filtrano le loro esperienze emotive, dando loro senso e significato mentale (Bion), le madri chiamano anche i loro bambini alla vita e al contatto, alla presenza e allo scambio. Alvarez può così fondare su questa base la sua idea che i terapeuti di bambini molto ritirati, depressi, rinunciatari e passivi, non possono limitarsi a dare forma e senso alle espressioni dei loro pazienti, devono anche svolgere una funzione di "richiamo" quando nessuna espressione viene dai pazienti; cita più volte la lunga fune che Robbie ha sentito che gli veniva gettata e lo tirava fuori dal profondo pozzo della sua depressione e mancanza di speranza.
Nella seconda parte del libro Alvarez rivisita alcuni concetti psicoanalitici sulla base della sua esperienza con bambini così disturbati che tutti i loro processi evolutivi ne sono rallentati o distorti; il risultato è sempre il costituirsi di aree di sviluppo deficitario più o meno ampie, che incidono sulle capacità di apprendimento, di attenzione, sulle funzioni cognitive in generale; lo psicoterapeuta infantile che tratta questi bambini deve porsi i problemi collegati sia al disturbo emotivo sia al deficit cognitivo. Alvarez riesamina poi il concetto psicoanalitico di difesa, insistendo sulla natura di base delle difese: è vero che le difese alterano o escludono contenuti psichici sgradevoli o intollerabili, ma nel porsi il problema di cosa aiuta lo sviluppo dei bambini può essere utile tener d'occhio anche l'altro aspetto, cioè la natura costruttiva della difesa. Per esempio, se la scissione divide in modo troppo rudimentale il buono dal cattivo, questa può essere la condizione per tutelare qualcosa di buono ancora un po' embrionale; se l'idealizzazione esagera la bontà di qualcosa o di qualcuno, contemporaneamente protegge una fiducia troppo incerta e fragile in qualcosa di buono; se la maniacalità produce un abnorme rigonfiamento del Sé, questo può dare riparo a un Sé ancora molto fragile e traumatizzato. Data l'estrema gravità dei bambini che tratta, e le enormi difficoltà che la loro malattia pone allo sviluppo, Alvarez è sempre attenta all'aspetto costruttivo della difesa, e porta esempi clinici convincenti che illustrano il delicato equilibrio che l'analista deve mantenere tra i due versanti, sul piano della tecnica, questo non significa che il terapeuta debba porsi come obiettivo di costruire qualcosa; la costruzione avviene spontaneamente, e in fondo misteriosamente, una volta che il processo psicoanalitico sia avviato, proprio come la crescita dei bambini avviene spontaneamente, secondo ritmi e modi diversi per ciascuno, all'interno di relazioni familiari sufficientemente buone; si tratta piuttosto del problema di come formulare le interpretazioni in modo da rispettare e aiutare lo strutturarsi delle difese. Alvarez offre anche molti buoni esempi di attenzione alle implicazioni più sottili delle formulazioni verbali; con bambini così depressi e deprivati, per esempio, dire "tu hai paura che succeda qualcosa in questo fine settimana a uno di noi e che non ci ritroviamo lunedì" suona ovvio e scontato, perché sono abituati a non aspettarsi niente, mentre girare dall'altra parte di quest'idea, e dire: "tu fai fatica a credere che noi due ci ritroveremo di nuovo qui lunedì" può aiutare un po' di speranza a nascere. La capacità di Alvarez di intuire il punto di vista di un'altra persona sul piano della riflessione diventa una particolare capacità di girare intorno alle idee, vedendone contemporaneamente il diritto e il rovescio, le implicazioni, le conseguenze, le prospettive di sviluppo; questo consente al suo pensiero una grande ampiezza, a cui corrisponde altrettanta libertà nel modo di trarre elementi e immagini utili per l'elaborazione delle sue idee. L'atteggiamento libero le permette anche di sfuggire a tutte le false alternative, organicisti versus ambientalisti, teorici del deficit versus teorici delle relazioni oggettuali; inoltre la lunga esperienza clinica le ha mostrato l'interazione degli infiniti fattori che concorrono a determinare prima e a confermare e solidificare poi la patologia di questi pazienti, portandola ad adottare piuttosto un modello di casualità complessa, interattiva e non lineare. L'eziologia dell'autismo sembra potersi infatti concettualizzare meglio usando la teoria matematica del caos, secondo il modello per cui una farfalla che vola a Pechino potrebbe far scoppiare un uragano a New York; se i fattori determinanti sono una nuvola di elementi, che interagiscono fra loro come nei sistemi caotici, allora si possono anche coniugare in modo libero e creativo gli apporti delle diverse scuole di pensiero per costruire un'immagine a più dimensioni della malattia mentale e della sua cura.
Se Robbie entra a buon diritto nella galleria dei bambini dai quali la psicoanalisi ha molto imparato (Hans, Richard e Piggle sono i più famosi), anche la sua analista restituisce ancora una volta, nella letteratura psicoanalitica, l'immagine del grande clinico, come sono stati quelli che si sono lasciati guidare dalla loro esperienza clinica lontano dalle solide certezze della teoria già consolidata, e hanno portato un contributo nuovo alla riflessione psicoanalitica.

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