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Colpa. Considerazioni su rimorso, vendetta e responsabilità - Roberto Speziale Bagliacca - copertina
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Dettagli

1997
6 novembre 1997
304 p., Brossura
9788834012567

Voce della critica


recensione di Viacava, A., L'Indice 1998, n. 5

Ponendo al centro della sua osservazione la colpa, Speziale-Bagliacca ha costruito un libro che è in realtà un punto di incrocio di molti argomenti e discipline, un'indicazione di metodo. Lo sguardo psicoanalitico, da cui l'autore muove, non è che l'occasione per una esplorazione minuziosa del concetto di colpa dal punto di vista storico, mitologico, religioso, giuridico, filosofico, letterario.
Ma un punto di partenza bisogna pur averlo, ed è, in questo caso, la poesia: è lì il vero punto di incontro tra conscio e inconscio, dove il sapere umano si distilla e integra con quello che non sa di sapere. Leggiamo in apertura alcuni versi di Shakespeare, che esprimono in modo sublime il peso tragico della colpa sul destino degli uomini, e altri di Rilke, che mostrano il versante lirico della umana capacità di contenimento. E così abbiamo, da subito, in vista le due grandi direttrici che all'interno del groviglio di citazioni e di argomenti manterranno ferma la rotta di questo libro: la colpa tragica, persecutoria, che promuove a sua volta dolore e danno, e la colpa contenuta, riparata, che "ricade mite e fredda come neve", che non cerca più vendetta fuori o dentro di sé, ma diventa assunzione di responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Fu Freud, nel 1895, a descrivere, nella minuta K a Fliess, l'esistenza dell'autoaccusa. Oltre dieci anni più tardi, in "Azioni ossessive e pratiche religiose", Freud mise a fuoco il fatto che questa colpa inconscia ha "la sua fonte in determinati processi psichici remoti, ma viene costantemente rianimata nella tentazione che si rinnova a ogni occasione attuale, e d'altra parte fa sorgere una angoscia di attesa sempre in agguato, una attesa di sciagura, connessa, mediante l'idea della punizione, alla percezione interiore della tentazione". A queste prime osservazioni psicoanalitiche fa seguito una messe di lavori sull'argomento, di Freud stesso e poi di innumerevoli epigoni a cui rimanda una ricca nota bibliografica. Ma "l'oscurità che avvolge i sensi di colpa inconsci non è stata illuminata dalle discussioni che ci sono state a riguardo. Soltanto è aumentata la complicazione": è ancora Freud, citato all'inizio di "Colpa e depressione" da Leon Grinberg.
Indagando sulle origini del senso di colpa, Freud si muove tra la spiegazione mitica di "Totem e tabù", di una sorta di sacrificio emancipatorio dal padre a opera dell'orda dei figli, e la scoperta, in "Al di là del principio di piacere" del 1920, dell'esistenza di una "pulsione di morte". Ma nel 1930, per illustrare "l'apparato che ci fa sentire in colpa", parlerà di una scissione dell'Io tra accusatore e accusato. Gli autorimproveri che il depresso si muove sono accuse e lamentele che in origine erano dirette verso qualcun altro, e solo in un secondo tempo sono state ritorte contro di sé. L'analista funge da catalizzatore che permette l'attualizzazione e l'esteriorizzazione del conflitto interno prendendo la parte ora dell'accusato, ora dell'accusatore. La sua abilità consisterà, dopo essere entrato consapevolmente nella parte, nell'uscirne col paziente, entrambi trasformati, pena il perpetuarsi del rapporto perverso accusatore-accusato.
Dopo Freud il sapere psicoanalitico si accumulerà fino a offrire un progetto laico di superamento: uno spiraglio di speranza. In che cosa ci si è avvicinati di più alla possibilità di "guarire", intendendo con questo il ridurre la sofferenza fino a poterla contenere e con questo conservare la capacità di pensare? Occorre risalire al lavoro di Melanie Klein, con una esegesi accurata, rispettosa e critica insieme. I suoi concetti di "posizione depressiva" e "posizione schizoparanoide", di scissione e proiezione, permettono di mettere a fuoco due tipi di colpa: quella persecutoria, primitiva e minacciosa, troppo spaventosa per essere riconosciuta come tale, carica di vendette e di infinite coazioni perverse in senso masochistico o proiettivamente sadico, e la cosiddetta colpa depressiva, che può essere tollerata nella mente, e quindi riconosciuta, elaborata e trasformata.
Ma detto così, sembra che ci sia una colpa buona e una cattiva, pronta a essere demonizzata: Speziale-Bagliacca non cade nella trappola e chiarisce come di fatto anche la relazione perversa sadomasochistica, intrisa di colpa introiettata e proiettata, non sia saturata da se stessa: c'è posto anche lì per affetto, intimità, amore, abnegazione e generosità vere e profonde. Sicché neanche lì si è indotti all'accusa e alla condanna, quasi sempre schermi proiettivi, ma alla comprensione. Condanna: questa rimanda al risentimento al rancore, alle Erinni e alla vendetta, alla questione giuridica e alla necessità difficile di articolare giustizia e comprensione-compassione. Perché comprensione-compassione? Ma qui torniamo alla primitiva intuizione di Freud, a quella "fonte in determinati processi psichici", e all'indicazione secondo cui l'autorimprovero è una ritorsione su di sé di rimproveri rivolti ad altri. Il fatto è che quanto più un essere umano è stato deprivato di calore, comprensione, affetto, ammirazione per quello che è, e non per le prestazioni che fornisce, tanto più il suo bisogno di tutto questo e di qualcuno che glielo offra è grande, e quindi grande è la sua tendenza a sottomettersi sperando di compiacere, placare, far sì che ci si prenda cura di lui; ma sotto la compiacenza crescono l'odio e il rancore per l'ingiustizia subita, e la colpa. Per non parlare della colpa di base, di non aver riparato proprio quel genitore che a causa del suo stesso essere narcisisticamente difettoso non ha potuto che riproporre l'unico schema relazionale che conosceva: quello appunto del chiedere e non del dare.
E lì si instaura la spirale perversa per cui quanto più uno è deprivato, tanto più è colpevole e potrà arrivare al punto di commettere colpe verso gli altri o verso se stesso in una sorta di coazione a saturare nella realtà il proprio vissuto interiore.
Ma allora la psicoanalisi, sposando un punto di vista così radicalmente determinista, spoglia l'uomo del proprio arbitrio e lo deresponsabilizza? No, la rinuncia alla logica della colpa porta a una "comprensione dolente" che deriva dall'accettazione dell'ineluttabilità del tragico. Quando si è capaci di "pensare" il senso di colpa, cioè di riconoscerlo, tenerlo dentro di sé ed elaborarlo, la consapevolezza della colpa può essere un buon segnale che apre a sua volta altri pensieri, altri percorsi evolutivi.
L'accesso alla dimensione tragica permette, di fatto, il ridimensionamento della fantasia onnipotente di poter riparare i propri genitori interni nella speranza che così loro possano poi riparare noi: riparare il proprio sé vuol dire, paradossalmente, rinunciare a farlo, accettarsi coi propri limiti, storie, traumi, mancanze incolmabili. Allora sì, si è nella condizione di poter sfruttare i propri talenti. La responsabilità per gli altri non può che fondarsi sull'acquisita responsabilità nei confronti di se stessi.
Il winnicottiano "concern", esemplificato come "prendersi cura", "darsi pensiero", ben descrive la funzione svolta dalla madre "sufficientemente buona", si badi bene, niente affatto perfetta, e indica per analogia all'analista quale sia l'atteggiamento che promuove la riparazione vera: tolleranza verso sé e gli altri, alla luce della consapevolezza della propria e altrui perfettibilità. Ma l'acquisizione di un assetto di questo tipo comporta l'aver subito una quantità di frustrazione tollerabile, e non tale da alimentare la costituzione, inizialmente difensiva, di un'istanza interna disperatamente e quindi sadicamente votata alla perfezione.
A questo punto, poiché anche l'analista è un essere umano e porta inevitabilmente con sé le sue ferite, come evitare che lui stesso metta nei pazienti la sua sofferenza chiedendo loro una riparazione impossibile e ancora una volta fonte di colpa? Già Rosenfeld fece notare, alla fine della sua vita, come spesso gli analisti non tengano in debito conto le critiche dei pazienti, perdendo preziose occasioni di comprensione. La mancata elaborazione da parte dell'analista del proprio senso di colpa conserva l'illusione onnipotente e quindi la percezione della critica come ferita narcisistica e accusa inaccettabile, mentre l'elaborazione della propria inevitabile limitatezza e fallibilità permette di articolare il proprio monitoraggio controtransferale col continuo commento che in un modo o nell'altro il paziente fornisce sul comune lavoro.
Questo ci porta a considerare anche la capacità di accogliere e condividere la complessità come esito di un lungo addestramento che permette di tenere assieme concause situate su piani separati: da quello relazionale oggetto dell'osservazione analitica a quello più generalmente psicologico, biologico, etologico, sociologico, religioso, giuridico, eccetera. E qui il cerchio si chiude: si torna alla poesia, dove tutto si condensa e si dispiega: "La source de toute poésie, c'est le sentiment profond de ce qui est inexprimible" (Anéat, "Reflexion e maximes", Paris 1865).


recensione di Bailey, J.S., L'Indice 1998, n. 5

Di ogni libro che affronto leggo sempre le premesse e i ringraziamenti, è un antico vizio. Questa volta mi imbatto nella proposta dello stesso autore di fare due letture di "Colpa, "la prima senza badare alle note (che sono numerose e fortunatamente a piè di pagina), la seconda includendole. Lo seguo e lascio passare qualche giorno tra le due letture. Il risultato è decisamente gratificante. La prima è densa e fluisce soprattutto grazie a uno stile terso, percorso dall'ironia, ma anche da partecipazione umana; il saggio è una miniera di sorprese. Non parlo soltanto dello stupore che sorge, durante l'intero arco del libro, ogni volta che viene allo scoperto quanto la colpa pervade di sé grandissima parte della vita fuori e dentro ognuno di noi, oppure nel venire a sapere di tutti i paradossi che popolano quella che Speziale-Bagliacca chiama la "logica della colpa".
Non è solo questo: c'è l'incontro inaspettato con considerazioni in un certo senso ovvie, cui però non era capitato di pensare prima. Frasi come questa: "In poco più d'un decennio alcuni scienziati realizzano quella che Sergio Moravia ha giustamente chiamato la nietzschiana distruzione delle certezze. Sigmund Freud scrive "L'interpretazione dei sogni" (1900),Max Planck formula l'ipotesi base della teoria dei quanti (1901-02), l'anno seguente Bertrand Russell pubblica "The Principles of Mathematics" (1903) e tre anni più tardi Albert Einstein la teoria della relatività ristretta (1905), poco dopo esce di Alfred Wegener (1912) il primo articolo sulla tettonica a zolle, che descrive l'ipotesi che i continenti vadano alla deriva, una teoria che letteralmente sembra toglierci la terra sotto i piedi".
Poi vengono le sorprese più vistose: l'interludio del capitolo settimo, che ha per titolo "Il diavolo con le mammelle", oppure le pagine dedicate al biblico giudizio di Re Salomone.
La seconda lettura cui accennavo, quella con le note, offre una visione molto più ampia di relazioni e un approfondimento in diverse direzioni, sia pure all'interno di coordinate rigorose. Colpisce l'attenzione metodologica che l'autore pone sull'importanza che occorre dare alla definizione delle parole: i termini, altrimenti, possono venire usati retoricamente.
Attraverso le note siamo anche condotti in un mondo di richiami critici e letterari che aggiungono piacere al piacere. Parlando dell'importanza del ritmo della frase troviamo ripreso un saggio di Leo Spitzer del 1928 che è un piccolo capolavoro sul tema "niente è semplice nel mondo e niente è semplice nello stile di Proust". Le ultime pagine riportano poche righe prese dalla "Medea" di Christa Wolf che, secondo l'autore, rappresentano un miracoloso compendio dell'essenza di questo saggio: "Tanto più esamino la mia anima, tanto meno desidero ammettere ciò che l'esame mi prova, che non trovo un solo misfatto cui ho assistito negli ultimi tempi, in relazione al quale io non abbia capito entrambe le parti. Non scusato, questo no, ma capito. Gli esseri umani con il loro accecamento. Questa coazione a capire mi sembra un vizio da cui non riesco a liberarmi e che mi isola dagli altri".

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Conosci l'autore

Roberto Speziale-Bagliacca, psicoanalista e docente presso l’Università di Genova, è autore di numerosi saggi, tradotti in diverse lingue. Ha pubblicato, tra l’altro: Sulle spalle di Freud (1982), Crescere corvi. Psicoanalisi di “Madame Bovary” e “Re Lear” (1991), Colpa: considerazioni sul rimorso, vendetta e responsabilità (1997), Sigmund Freud: le dimensioni nascoste della mente (1999), Adultera e re. Un’interpretazione psicoanalitica di Madame Bovary e re Lear (2000), Freud messo a fuoco (2002), Ubi maior. Il tempo e la cura delle lacerazioni del Sé (2004), Come vi stavo dicendo. Nuove tecniche in psicoanalisi (2010).

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