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È la continuazione del libro precedente, che si fermava alla fine della terribile esperienza della prima guerra mondiale. Benché sia senza dubbio un racconto esauriente dei trent’anni successivi alla fine della guerra, i ricordi della vita di Bion contrastano con l’impressione che abbiamo dalle sue lettere, dove riappaiaono l’ironia e la capacità introspettiva che furono anche una componente del suo lavoro psicoanalitico.
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Wilfred Ruprecht Bion è passato in maniera decisa alla storia della psicoanalisi, e quindi alla storia delle idee del ventesimo secolo, per almeno due buoni motivi. Il primo riguarda il suo essere stato uno dei più noti analisti del suo tempo per i contributi teorici e clinici al trattamento individuale e di gruppo. Contributi non di rado sconvolgenti, nel senso letterale del termine. Uno degli psicoanalisti più noti e seguiti, viene da aggiungere, al di qua e al di là dell'oceano, dalla Gran Bretagna all'Italia, dall'Argentina alla West Coast. Il secondo ha invece a che fare con la sua personalità fuori dagli schemi. Le due cose, come sempre capita, vanno assieme: non si può considerare l'una senza l'altra. Ma A ricordo di tutti i miei peccati ci porta a vedere soprattutto il secondo motivo.
Bion nasce a Muttra in India nel 1897, da famiglia di ceppo ugonotto, e lì vive fino agli otto anni, quando viene "spedito" in Inghilterra, dove per lo più vivrà, a lungo, e dove morirà nel 1979. Se da una parte la vita gli offre l'opportunità di affondare le sue radici nel pensiero orientale (conosceva anche il cinese, come del resto l'ebraico, il greco e il latino), dall'altra gli verrà impartita la formazione tipica dell'Inghilterra aristocratica edoardiana. È probabile che il suo lato indiano, più che il suo sotterraneo taoismo, abbia favorito quello che è stato definito il suo misticismo. Ma il "mistico" per lui è il "genio", che, come caratteristica di fondo, ha quella di portare l'apertura dei nuovi orizzonti, e allo stesso tempo la distruzione. Amava Meister Eckart ed era un lettore attento dei testi indiani come il Bhagavadgità; era affascinato dal paradosso (l'analista deve curare "senza memoria e senza desiderio" è il più famoso dei tanti); d'altro canto fu attratto dalla possibilità di abbozzare una teoria della mente. Progetto al limite del temerario che, secondo alcuni sofisticati studiosi, gli è riuscito.
La sua - è stato scritto - è la storia di un giocatore di rugby, di un matematico, d'un pittore, d'un filosofo, di uno studioso dei classici amante della poesia (in particolare T.S. Eliot), che fu anche fisico e psicoanalista. Forse non proprio tutto questo, ma comunque abbastanza per riempire due vite. Oltre a ciò, fu un militare. Ufficiale del Royal Tank Regiment sul fronte occidentale durante la prima guerra mondiale, combatté la battaglia di Cambrai, la prima dove furono impiegati mezzi corazzati contro i tedeschi. Si distinse qui e in altri scontri, fino a ricevere l'onorificenza D.S.O. da Giorgio V. L'accettò, mentre suo padre, un ingegnere civile che fu anche segretario del Congresso indiano, rifiutò il titolo di "sir". Cessata la guerra, che lasciò in lui il senso concreto dell'orrore, Wifred riprese gli studi a Oxford.
Ai numerosi volumi di psicoanalisi (quasi tutti tradotti in italiano, sia pure presso editori diversi), Bion - che amava scrivere almeno quanto dipingere - ci ha lasciato diversi scritti eterodossi, tra cui Memoria del futuro. Il sogno (Cortina, 1993), che lui stesso definì una "narrazione fantastica della psicoanalisi" e la sua autobiografia, che si snoda in un volume e... mezzo (pubblicati da Astrolabio). La prima parte, La lunga attesa. Autobiografia 1897-1919, (in inglese The long Week-End) è un libro uscito nel 1986 ma sempre richiesto, che racconta gli accadimenti di una esistenza non certo banale con un piglio e uno humor dalla presa straordinaria. La seconda parte dell'autobiografia appare ora nel primo "mezzo" libro, mentre il secondo "mezzo" produce una serie di lettere ai famigliari. Lo stile è lo stesso, pieno di fascino e di incognite.
Il titolo della prima parte era difficile da tradurre: All my sins remembered, ma Duccio Valori l'ha "tradito" con un bellissimo A ricordo di tutti i miei peccati. Il titolo della seconda parte, L'altra faccia del genio, riproduce in chiave autoironica l'interrogativo che più volte Bion ha sollevato attraverso quello che è stato il mito che probabilmente lui stesso ha aiutato a creare intorno a sé.
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