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Gli storici dell'arte e la peste. Ediz. illustrata
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storici dell'arte e la peste. Ediz. illustrata

Descrizione


Il volume intende illustrare il ruolo che oggi assume la storia dell'arte: una disciplina e una professione che, come tutte le attività umanistiche, risente del sopravanzare delle scienze e delle tecniche. Il libro si compone di testi-interviste a circa quaranta storici dell'arte italiani, una campionatura che rivela, ma non pretende di esaurire, la varietà delle scuole di origine, della posizione professionale e istituzionale e distingue gli interpellati in tre archi generazionali: under 50, over 65 e quella intermedia. Il volume si apre con una prefazione di Rosanna Cappelli, e si chiude con una postfazione a firma dei curatori, Sandra Pinto e Matteo Lafranconi.
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Dettagli

2006
28 marzo 2006
Libro universitario
275 p., ill. , Brossura
9788837040765

Voce della critica

Era da tempo che si aspettava un libro così, che desse uno scossone agli storici dell'arte: a quelli assopiti, a quelli troppo indaffarati, a quelli pur battaglieri che ne hanno viste tante e sono ormai un po' disillusi, e perfino ai giovani studiosi che, per sbarcare il lunario ma anche per colpa dei tempi poco propizi, si vedono costretti a chiudere nel cassetto le grandi questioni metodologiche, fondative o magari di protesta. È un libro scritto da storici dell'arte, che tratta dell'attuale condizione degli storici dell'arte, ma non è un libro destinato solo a loro; piuttosto è un libro diretto a tutti quelli che si occupano in senso lato di cultura e a tutti quelli che hanno a cuore il patrimonio italiano di storia e di arte, a coloro dunque che prima di tutto devono tutelare e amministrare le nostre testimonianze di civiltà, promuovendone la conoscenza e preservandone l'integrità. Insomma è un libro eminentemente "politico", che si rivolge ai governanti, ai tecnici, alla società civile (e poiché si interroga soprattutto sul futuro, si rivolge in modo privilegiato anche agli studenti universitari), per denunciare con voce forte e chiara la gravissima situazione in cui si trova lo statuto disciplinare della storia dell'arte, all'interno, beninteso, della più vasta crisi che vive la cultura umanistica nella società dell'informazione.
La storia dell'arte, attaccata su molti fronti, è giunta ormai a punto di svolta: bisogna capire se si vuole che continui a esistere e, ammesso che le venga concesso, in quale forma e secondo quali direzioni, se cioè con il tentativo "purista" di un ritorno al passato, oppure con l'incorporamento supino nel "beneculturalismo" sempre più tecnocratico e sempre meno umanistico, o infine – e ci pare indubbiamente la strada migliore, anzi l'unica sensata – ritrovando un'identità e un futuro in un nuovo sperimentalismo metodologico e in un rinnovato slancio progettuale.
Lo stato di crisi della disciplina, da tempo e da molti denunciato, è finalmente riportato nei termini essenziali del problema: il "cosa è, cosa fa" uno storico dell'arte. Per compiere questa ricognizione i due curatori hanno intervistato quaranta storici dell'arte, scelti attraverso una campionatura dichiaratamente parziale, che non mira a rappresentare in tutte le sue sfaccettature e in tutti i suoi indirizzi il mondo degli storici dell'arte, ma si basa piuttosto sulla condivisione di esperienze di studio e di lavoro, su rapporti di amicizia e affinità elettive.
Pur con questa parzialità, dichiarata dagli stessi autori, la campionatura copre varie tipologie e generazioni: si va dai "grandi vecchi" (Ferdinando Bologna, Andrea Emiliani, Bruno Toscano, Enrico Castelnuovo, Giovanni Romano, Marisa Dalai, Paola Barocchi) agli studiosi affermatisi a partire dalla fine degli anni sessanta, per arrivare fino ad alcuni "giovani attempati"; sono stati scelti nell'ambito delle soprintendenze e soprattutto delle università (perché, come è affermato nell'introduzione, "tutto dovrebbe, deve, iniziare dalla formazione"), assieme ad alcuni casi di raccordo con i settori contigui degli architetti, dell'editoria, del mercato antiquario. E poiché non si può discutere di identità se non si traccia una sia pur sommaria storia della disciplina, il volume affronta, presentando nella prima sezione i "personaggi alla ribalta", alcuni nodi di storia della critica d'arte lungo l'arco del Novecento, attraverso i ricordi e le esperienze personali degli intervistati, soprattutto intorno ai tre filoni della scuola longhiana, degli allievi di Argan e di quelli della Normale di Pisa.
Il libro comunque non vuole essere un'autoreferenziale foto di gruppo, ma un atto di denuncia, senza cadere nella lamentela piagnucolante, riaffermando anzi alcuni principi essenziali dai quali non ci si deve discostare e sui quali non si può scendere a compromessi. Ecco allora che nella seconda e più corposa parte del volume si affrontano i temi d'attualità, suddivisi in dieci capitoli denominati "giornate". Una volta infatti realizzate le interviste, singolarmente o a gruppi, il libro è stato cucito insieme usando la metafora boccacciana della "brigata" che si ritira a discutere mentre fuori infuria la peste; come avviene con i personaggi del Decamerone anche qui non si tratta di ingannare il tempo aspettando che passi l'epidemia, ma di evitare che la paura porti a un totale imbarbarimento: bisogna indagare i comportamenti umani affinché si possa essere pronti a tornare nel mondo con risposte e progetti, per ricostruire una civiltà sconvolta e smarrita.
Quali sono i morbi che attaccano oggi gli storici dell'arte e i moderni umanisti? E chi sono gli untori? E quali le cure? Uno dei principali obiettivi polemici individuati nel libro è la deriva "beneculturalista" della storia dell'arte, cioè la sua separazione dal corpo unico delle vecchie facoltà di lettere per rincorrere il modello delle facoltà di beni culturali dove il pensiero critico e il metodo storico sono schiacciati da una infarinata di scientismo, spesso acritico e dogmatico; a livello più vasto si denuncia poi lo scadere di quelle che dovrebbero essere attività di diffusione della conoscenza nella mania degli eventi e del "mostrismo" improvvisato ed effimero.
Un'altra questione centrale riguarda la crisi del "generalismo": viene criticata la progressiva specializzazione, sempre più parcellizzata e a compartimenti stagni. Su questo punto bisogna dire che non tutte le osservazioni centrano il bersaglio, perché lo specialismo non è di per sé un male o un bene, ma la condizione del sistema moderno della conoscenza, e a poco serve ricordare i bei tempi andati di quando un Argan o un Ragghianti potevano scrivere di qualsiasi argomento, dai manufatti preistorici all'industrial design. Tutte le discipline, se non vogliono inaridirsi nel semplice riepilogo del già noto, debbono specializzarsi, altrimenti si finisce con il rimpiangere l'enciclopedismo aristotelico. Il problema non è che la mole degli studi obblighi a occuparsi di ambiti sempre più circoscritti, ma il fatto che questo avvenga con una crescente disattenzione verso le altre discipline umanistiche e verso il problema metodologico, questo sì unitario per tutto il sistema del sapere. Generalmente, poi, non si sanno sfruttare le possibilità offerte dai moderni mezzi di informatizzazione dei dati: lo specialismo va di pari passo con l'ampliarsi degli strumenti tecnologici, che però spesso gli umanisti non sanno o non vogliono usare.
C'è infine un altro aspetto che meriterebbe di essere ulteriormente approfondito: ci sembra infatti che il volume, come nota uno degli intervistati in un'appunto aggiunto in bozze, abbia eccessivamente "edulcorato" la ricostruzione dei contrasti tra i diversi schieramenti, in passato violentissimi e a lungo insanabili. Nel libro se ne parla poco, ma bisognerà pure ammettere che una parte della peste, di questa disgregante perdita di visibilità e di potere, è dovuta agli stessi studiosi, alle lotte intestine tra diversi gruppi e fazioni. Divisioni che hanno nuociuto quando si limitavano a una mera questione di potere, ma che nascondevano comunque opposte posizioni storiografiche e avevano perlomeno il merito di riportare al centro la discussione su metodi e strumenti, come si è invece smesso di fare da troppo tempo.
Poche discipline sono così frammentate per referenti e per sedi in cui operano: il mercato, il museo, il territorio, le mostre, il restauro, l'università, la divulgazione ecc.; le peculiarità culturali di quelli che si chiamano storici dell'arte sono le più varie e in genere non riescono a mettersi d'accordo, a coalizzarsi, ad associarsi, perché le divisioni hanno la meglio sulla capacità di essere uniti e fare la voce forte di fronte alle storture che è andato prendendo il "sistema dei beni culturali". Ne discende la necessità di trovare il modo di ricompattare gli storici dell'arte, e questo libro – è il caso di dirlo – mette davvero il dito nella piaga e lancia un durissimo atto d'accusa; ma è insieme, e questo è l'importante, anche una piattaforma di partenza per un vero rilancio della disciplina.
  Claudio Gamba

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