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Como, Vittorio Omarini, 1899, 8vo rilegato in mezza tela posteriore con titolo dorato al dorso, pp. XIXI-342, frontespizio stampato a due colori. Prima edizione.
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Il libro di Roberto Martucci è un'opera seria e acuta, senza un filo di retorica. La parte più pregevole e nuova, anche se è quella meno epica, è costituita dalle osservazioni sullo Statuto albertino, sul diritto costituzionale e sulle vicende parlamentari e amministrative del Regno d'Italia appena proclamato. Non ci sarebbe quasi bisogno, quindi, di insistere sulle stragi di Pontelandolfo e di Casalduni e in generale sulla ferocia staliniana della repressione nel Mezzogiorno (per es. l'arresto dei parenti dei briganti e la distruzione delle loro case, p. 309), per capire dove sarebbe andata a finire la nuova Italia, uno stato nuovo costruito su basi vecchie. Per un sessantennio la vita pubblica sarà caratterizzata dalla centralità della Corona, dalla debolezza dei governi, da una Camera elettiva poco legittimata, dalla ambiguità e marginalità del Senato, dallo scarso peso degli enti locali e dal culto della centralizzazione prefettizia (p. 341). Che una vita pubblica così soffocata conducesse al fascismo, era nell'ordine naturale delle cose. Anche il sessantennio abbondante trascorso dall'ultima guerra porta ancora intera sulle spalle l'eredità della nuova Italia unificata. Una questione meridionale incancrenita, una pubblica amministrazione più malata e inefficiente di quanto sia mai stata e una vita politica fatta di 'corruzioni, imbrogli, intrighi senza precedenti' (così un deputato giudicava nel 1862 il governo di Urbano Rattazzi, p. 369). A peggiorare e rendere più amara la nostra condizione, c'è il fatto che oggi mancano del tutto grandi uomini, come il primo sessantennio di vita unitaria aveva pur conosciuto: Giustino Fortunato, Giovanni Verga, Federico De Roberto, Gaetano Salvemini...
Recensioni
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scheda di Rocca, D. L'Indice del 2000, n. 04
L'unità italiana è stata frutto di un lungo processo culturale, politico e sociale oppure di una manovra ideata nelle chiuse stanze di re e primi ministri subalpini? Fu lo sbocco di un'evoluzione secolare o un'invenzione che molto dovette al clima e ai personaggi di un'epoca? Conosciamo ormai a fondo nomi, fatti, incidenti, o le nozioni in nostro possesso vanno approfondite, riviste, corrette? Tali sono le questioni che Roberto Martucci pone al centro del suo studio sugli anni cruciali dell'unificazione italiana. Grazie all'utilizzo sistematico dei carteggi cavouriani e alla preferenza accordata alle fonti originali, vengono affrontati in una trattazione attenta e completa, oltre che di piacevole lettura, non solo i nodi politico-diplomatici del periodo 1855-64, ma anche alcuni fra gli aspetti meno edificanti di quegli anni, come la deportazione dei prigionieri di guerra napoletani dopo la cacciata dei Borbone o la misteriosa morte di Ippolito Nievo. Martucci individua in Torino e in Cavour i due elementi su cui è necessario focalizzare l'attenzione, ma non tralascia i "dimenticati comprimari dell'epos unitario", né i problemi ancora sul tavolo (uno per tutti: perché non si seguì un modello di unificazione come sarebbe poi stato quello tedesco, meno traumatico e impositivo, in quanto più aperto alle autonomie di regioni tanto diverse fra loro?) o i limiti effettivi nella gestione del potere fin dai primi anni dell'unità nazionale: manipolazione dei plebisciti, "consenso forzoso", fallimento delle Luogotenenze, suffragio ristretto, questione contadina, mantenimento del numerale precedente all'unificazione da parte di Vittorio Emanuele II. Sono ottimi i riferimenti bibliografici ragionati e l'indice dei nomi.
Daniele Rocca
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