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Anno edizione: 1991
Anno edizione: 2016
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Una drammatica fuga dai campi profughi verso il ricco Kuwait. Rimpiangendo la Palestina.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Anch'io ho letto il libro in un paio d'ore, ma sono bastate per lasciarmi un'impressione profonda ed un inseguirsi di pensieri che disordinatamente provo ad esprimere: la tragedia di un popolo che è stato sacrificato sull'altare della cattiva coscienza dell'Occidente per la persecuzione degli ebrei si ripercuote nelle infinite tragedie degli individui che lo compongono; individui che vivono nei campi da molti decenni; individui respinti dai "fratelli arabi"; individui costretti ad una diaspora. Si troverà mai un accordo per risolvere la questione palestinese ? Nell'attesa si ripeteranno le tragedie che l'Autore ha così bene descritto.
Racconto molto appassionante, leggibilissimo, si finisce in un paio d'ore ed e' consigliato anche a chi non ha interesse specifico per le vicende mediorientali. L'edizione, pero', ha due problemi evidenti. L'introduzione di Vincenzo Consolo e' datata, buonista e anche maldestra: svela infatti il finale. Lato positivo: cita il giudizio lusinghiero di Francesco Gabrieli, il sommo arabista dell'Orientale di Napoli, sull'autore. Cio' riconosciuto, non se ne potrebbe fare a meno ed eliminarla del tutto? La nota finale, a mio giudizio, e' ancora piu' problematica. Se da un lato ringraziamo tutti la Prof.ssa Camera D'Afflitto per la traduzione, per la sua competenza sulla letteratura palestinese, l'impegno militante e cosi' via dall'altro dispiace notare che la nota in questione racconta il dramma palestinese in modo sbilanciato e molto, ma molto discutibile da un punto di vista storico. Ma io da lettore non voglio comizi: per quelli c'e' la tv.
Recensioni
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scheda di Lano, A., L'Indice 1992, n. 7
"Abu Qais appoggiò il petto sul terreno umido e il suolo prese a pulsargli sotto: erano i battiti di un cuore stanco che attraverso la sabbia, sussultando, penetravano nelle sue cellule ogni volta che si gettava a terra bocconi, come se il cuore di quella terra... avesse continuato ad aprirsi un suo varco dalle tenebre verso la luce". I riferimenti alla terra come simbolo della patria perduta, la Palestina, sono molto ricorrenti nella letteratura palestinese. Tra gli autori che hanno fatto della tragedia di questo popolo, della sua condizione di esiliato nel mondo arabo e in Occidente, del suo desiderio di ritornare in patria e della lotta per realizzare questa aspirazione, il Leitmotiv della propria produzione letteraria, spicca senza dubbio Ghassƒn KanafƒnŒ. Il suo nome, infatti, è strettamente associato alla causa palestinese, sia in campo culturale - come grande innovatore dello stile letterario arabo, e per l'importanza dei temi da lui affrontati -, sia in campo politico, come portavoce ufficiale del Fplp. "Uomini sotto il sole", scritto nel 1963, è certamente la più famosa fra le sue opere. Essa narra le storie parallele dei tre protagonisti che, come la maggior parte dei diseredati della terra, cercano nei paesi ricchi il sogno di un improbabile benessere economico, talvolta a prezzo della vita stessa. Un destino tragico attende, infatti, i tre emigranti che, chiusi dentro un'autocisterna che dovrebbe portarli in Kuwait, luogo delle loro speranze, vi muoiono soffocati durante una sosta sotto il sole del deserto presso la frontiera con l'Iraq. "E così il sogno dei palestinesi, che dai campi della miseria inseguono il miraggio dei paesi arabi ricchi, diventa un simbolo universale, il simbolo di quell'umanità a cui è negata la giustizia".
Un tragico destino spetterà anche a Ghassƒn KanafƒnŒ per il suo tenace impegno a favore della causa palestinese. Egli morirà, infatti, in un attentato a opera del Mossad, nel 1972, a soli trentasei anni.
Ghassan Kanafani (morto giovane, in un attentato, nel 1972), fu scrittore - tra i più significativi della letteratura araba - giunto all'impegno attivo nella lotta del suo popolo dopo i primi libri, e dopo l'attività giornalistica: giunto, si può dire - usando una espressione vecchia ma che si attaglia alla questione palestinese per la quale vale come criterio l'odiosa coppia amico/nemico meglio di ogni altro giudizio -, alla critica delle armi passando dalle armi della critica. Sono dunque pietre le sue parole, e nella loro scabra durezza ritorna il dolore per la terra perduta, la sofferenza dei profughi, la speranza. Ma senza la rozzezza semplice dei nazionalismi (per cui Kanafani è, come dice Vincenzo Consolo presentandolo in questo libro, «prima di essere il palestinese di Acri, scrittore di prim'ordine»), semmai cercando, al fondo delle immediate contrapposizioni, l'inquietudine che nasce dall'osservare il cuore innocente della sofferenza, la sorte di chi non ha nessun riparo. Così la vicenda dei tre uomini sotto il sole - che fuggono dai campi profughi verso il ricco Kuwait e trovano una delle sorti comuni ai molti senza riparo in questo mondo - racconta dell'inferno che si trova subito dietro l'angolo dell'Occidente.
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