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Il diario di un gaudente malato e vecchio che, interrogandosi, analizza gli eventi, alla ricerca di un’altra vita nella vita trascorsa.
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Quasi bello quanto L'Archivio della Contessa D., sempre di Apuchtin. E in questo libro, dove il personaggio principale e' un uomo, Apuchtin dimostra di riuscire a passare perfettamente dalla psicologia femminile (nell'Archivio) a quella maschile. Davvero bello. Apuchtin una vera scoperta, peccato che in Italia siano pubblicati soltanto questi suoi due lavori.
Recensioni
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APUCHTIN, ALEKSEJ, L'archivio della contessa D
APUCHTIN, ALEKSEJ, Il diario di Pavlik Dol'skij
recensione di Pallotta, P., L'Indice 1994, n. 4
Nel quadro della letteratura russa la presenza di Aleksej Apuchtin (Bolchov 1840-Pietroburgo 1893) rimane alquanto marginale, anche se la sua produzione poetica ottenne un notevole successo nel decennio che va dal 1859 al 1870, specie nella società pietroburghese. Apuchtin (ardente ammiratore di Puskin che elevò a suo modello) nutrì sempre nei confronti della cosiddetta "poesia civile" - mossa da un sofferto e impotente desiderio di migliorare il mondo - un forte senso di repulsione: fedele cioè a una concezione aristocratica dell'arte nel suo significato più squisito. Lo interessava l'emozionalità pura, il sentimento malinconico dell'esistenza, nella quale prevalgono i rimpianti e l'esigenza di un'"oggettiva" ricognizione memoriale (l'analisi del tempo vissuto), l'amore non corrisposto e la solitudine dell'uomo in un mondo ostile, caratterizzato dal vuoto etico e affettivo. In Apuchtin, il tema dominante è il valore salvifico della memoria: il recupero, attraverso di essa, dell'infanzia, la sola età dell'uomo vicina alle origini della vita e pertanto spiritualmente intatta. La memoria ha una funzione terapeutica e liberatoria: è la sola facoltà in nostro possesso in grado di farci ritrovare una felicità che il tempo ha travolto; infatti, la vita degli uomini, la vita associata, è fondata sulla simulazione e cristallizzata dalle convenzioni: diviene, cioè, finzione, "teatro" in cui ciascuno recita una parte.
Per il carattere pigro (conseguenza anche di una patologica obesità), per il suo rifiuto di aderire allo schieramento antiromantico e l'ispirazione radicalmente estranea agli umori del tempo, Apuchtin fin con l'essere emarginato: sprezzante nei confronti degli scrittori di mestiere, smise persino di pubblicare, anche se le sue poesie circolarono manoscritte nei salotti aristocratici. Sul finire della sua vita, si dedicò alla prosa: tra il 1890 e il 1892 scrisse tre racconti lunghi, che rappresentano senza dubbio il meglio della sua produzione artistica. Il primo, "L'archivio della contessa D||", è una 'povest'' in forma epistolare ed è il ritratto di una nobildonna attraverso le lettere a lei indirizzate; il secondo, il diario di Pavlik Dol'skij, è la narrazione di un itinerario esperienziale di un gaudente di cinquant'anni che si scopre vecchio e malato e che analizza il tempo vissuto alla ricerca di sé; il terzo, un racconto fantastico scritto in prima persona, "Fra la morte e la vita". Sellerio ha pubblicato i primi due di questi racconti, tradotti, introdotti e curati da Caterina Maria Fiannacca in modo eccellente.
Nell'"Archivio della contessa D||", le lettere e i biglietti sono indirizzati a Ekaterina Aleksandrova D. da nove interlocutori e la nobildonna non compare mai in prima persona. I mittenti sono il marito, un ecclesiastico, alcune amiche (anch'esse appartenenti alla 'svet', l'alta società), un paio di ammiratori, e la silenziosa destinataria si configura di volta in volta amica, amante, moglie, confidente spirituale. Le missive, cioè, hanno la funzione di specchiare, in modi differenti, il carattere complesso della contessa (saggia e calcolatrice a un tempo, irreprensibile e incline ai piaceri mondani) e di porre in rilievo la personalità di chi scrive. Ne emerge il ritratto (divertito ma anche impietoso) di un ceto sociale abbarbicato ai propri pregiudizi, a comportamenti rituali, canonizzati da regole fisse e sterili: un mondo in cui la simulazione e il calcolo spengono ogni genuino processo vitale. Sarà l'amica più vicina alla contessa, Mary Bojarova, a ripudiare il ruolo di donna frivola ed esibizionista: una bruciante disillusione amorosa la renderà consapevole dell'inferno di ipocrisia in cui ha accettato di vivere. Il ritorno nella tenuta di campagna, il contatto vivificante con la natura, il "recupero" dell'infanzia (il tempo della verità e della pienezza di vita) la renderanno a se stessa, sciolta dall'imperativo di "essere come tutti".
Anche nel Diario di Pavlik Dol'skij le tematiche di fondo sono le stesse: la vita associata come luogo di menzogna e il recupero dell'infanzia. Il diario è una sorta di autobiografia interiore, in cui il presente e il passato si alternano e in cui si attua una continua osmosi. La 'povest'' è sostanzialmente un'ininterrotta indagine della vita di Pavlik, alla ricerca di un'altra vita in quella ormai trascorsa. Con uno stile elegante e colloquiale, intriso di malinconia, il "narratore" passa in rassegna gli anni vissuti, analizzandoli e sforzandosi di coglierne in profondità l'intimo sviluppo, al di fuori di ogni comportamento prestabilito, libero cioè dalla cristallizzazione che la vita associata comporta. Nel diario i tempi grammaticali si adeguano compiutamente a quelli della coscienza e la ricognizione memoriale non impoverisce la rappresentazione della realtà esterna, degli accadimenti quotidiani: i ricevimenti mondani, gli incontri più disparati, le giornate in cui la malattia prende il sopravvento, le cure mediche, la passione amorosa e infelice per la diciassettenne Lida.
Il "diario" è dapprima la testimonianza di una sconfitta, l'ammissione di una solitudine in un mondo (e in particolare lo 'svet') nel quale prevalgono la doppiezza e l'interesse: il crollo psicofisico rendono consapevole il protagonista di aver svolto nella vita soprattutto un ruolo fittizio, del tutto occasionale; in una parola, di aver recitato una parte prestabilita. Ma ora che la vecchiaia sta per giungere, fors'anche la morte, le norme e le finzioni sociali non rappresentano più alcuna difesa; e tuttavia la malattia e la morte non sono per Pavlik la sconfitta definitiva: affidandosi alla memoria, alla scrittura come ricerca della propria identità, anch'egli, come la contessa Mary del primo racconto, riesce a far emergere dimensioni interiori nascoste, e il ritorno alla casa di campagna, a contatto con i luoghi della sua infanzia, lo fa sentire protetto e lo libera dalla crisi esistenziale. Il recupero dell'infanzia, dei suoi valori spirituali, hanno alla fine fatto di lui un uomo, restituendolo a se stesso. Adesso Pavlik ama la vita, in tutte le sue manifestazioni.
Influenzato dalla prosa psicologica russa (da Dostoevskij e da Turgenev, soprattutto) Apuchtin ha composto due opere che si caratterizzano non solo per la perfetta costruzione narrativa, la squisita qualità stilistica, ma anche per la modernità della composizione che non può non sorprendere il lettore di oggi.
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