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Un paladino nei palazzi incantati - Virginio Orsini - copertina
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Un paladino nei palazzi incantati - Virginio Orsini - copertina
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Dettagli

1993
28 giugno 1993
135 p.
9788838909368

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Marina Caracciolo
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Un reportage d'altri tempi

Virginio Orsini, duca di Bracciano, cugino della regina di Francia Maria de' Medici, viaggia nei primi anni del Seicento in Francia e poi in Inghilterra. Di questo viaggio egli dà conto per lettera al granduca di Toscana e alla moglie. Un bellissimo reportage, una viva e "incantata" descrizione di Londra e della sontuosa corte di Elisabetta I d'Inghilterra, che giunge fino a noi attraverso la penna di un testimone oculare: " Sua Maestà mi ricevé con tanta gentil cera che io non potevo desiderar più e mi menò in una sala con tutte le dame e cavalieri, dove si fece un bellissimo festino...". Molto interessante.

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recensione di Patrizi, G., L'Indice 1994, n. 6

"La Dodicesima notte" di Shakespeare si svolge in un paese di favola, l'Illiria, governato da Orsino, un duca italiano amante della musica. Il nome vela ben poco dell'identità dell'aristocratico: nei primi giorni del 1601, anno della redazione e della prima rappresentazione della commedia, per la corte inglese si aggirava un "paladino" attonito ed euforico, che sapeva mescolare senza problemi alle diffidenze della diplomazia l'entusiasmo per uno sfarzo cortigiano apparecchiato in suo onore. Era il duca di Bracciano Virginio Orsini, nipote dei granduchi di Toscana: il personaggio del principe d'Illiria, malinconico innamorato respinto, certo rispecchia, se non la realtà, la fama che il patrizio, fiorentino d'adozione, portava con sé e sottolinea anche esplicitamente quella che doveva essere l'immagine di una cultura delle corti italiane presente già da alcuni decenni nel mondo inglese, una cultura in cui si mescolavano il "Cortegiano" di Castiglione con il petrarchismo di Bembo, il "Furioso" con le novelle di Bandello.
Ma dietro la figura dell'Orsini, al di là dello stereotipo cortigiano fissato da Shakespeare, c'era una realtà molto più paradossale: la racconta ora Roberto Zapperi, uno storico della cultura già autore di altre minute ricostruzioni di illuminanti "microstorie" del nostro Rinascimento. Dunque Virginio Orsini, educato alla musica nella Firenze della Camerata de' Bardi e di Emilio de' Cavalieri, decide di iniziare un lungo viaggio attraverso la Francia, accompagnando la cugina Maria, nipote del granduca Ferdinando, promessa sposa del re di Francia Enrico IV. Virginio spera che il nuovo regime francese possa attenuare la pressione in Italia della potenza spagnola e dunque mira a stabilire una nuova, solida alleanza. Ma dinanzi alla tiepida accoglienza francese (dovuta a motivi di gelosia per i rapporti "chiacchierati" di Virginio con Maria), il duca di Bracciano decide di andare a trovare la regina Elisabetta presso la corte inglese: la vecchia sovrana lo accoglie con entusiasmo non disinteressato. Le fastose accoglienze riservate all'italiano dovevano riempirlo di ammirazione ed egli doveva quindi riportare nel continente la notizia di una regina più vitale e autorevole che mai, a scorno di quanti la dicevano ammalata, preparandone la successione. A questo artificio, in cui si mescolano politica e mondanità, va ricondotto l'intenso carteggio di preparazione tra emissari della corte di Londra, agenti segreti in Francia, diplomatici; mentre le lettere che Virginio inviava alla moglie trasudano compiacimento e ammirazione per gli apparati di cerimonia e i festeggiamenti esibiti in onore dell'ospite, fino a quella storica danza - una "gagliarda" - in cui la stessa regina si esibì con l'Orsini. Ballo la cui risonanza andava ben oltre l'occasione mondana, per diventare emblema di un primato cortigiano ancora ben solido. Per l'Orsini, "paladino nei palazzi incantati", come egli stesso si definisce, la vertigine del ballo regale fu pagata con la minaccia di una scomunica papale per aver frequentato ambienti protestanti da cui egli si salvò solo con un compromissorio perdono. Il cortigiano musicofilo mostrava di saper intendere meglio i linguaggi estetici che quelli diplomatici e questo forse consolidava una certa immagine dell'italiano che affascin• anche Shakespeare.

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