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Ho acquistato questo libro in una bancarella attirata dalle prime pagine scritte dall'Adorno. L'anziana signora s'intestardisce nel voler capire chi sia il proprietario di alcuni oggetti passati di mano in mano e arrivati fino a lei tramite alcune eredità di parenti. Scopre fortunosamente un personaggio che ha avuto modo nella sua infanzia di conoscere questo zio che per lungo tempo ha vissuto in Oriente al tempo della guerra Russo-Giapponese. Così si spiega la presenza nella sua casa e in quelle di altri cugini di alcune foto di geische, stampe orientali e netsuke. Ma scopre anche che lo zio ha pubblicato un libro ormai dimenticato dove parla, tra le altre cose, di una tenera storia d'amore con una delle geische che compare sempre tra le foto... Le altre cose di cui parla lo zio sono per me molto interessanti, anche se trattate en passant quasi con noncuranza, perchè per me il mondo orientale rimane lontano e poco comprensibile, sopratutto per le diversità culturali. Allora ho trovato accattivanti le spiegazioni sul rapporto tra i giapponesi e la religione, sull'importanza dell'arte e dei dettagli, sull'idea di moralità, ecc. Libro carino, senza troppe prestese ma che può tornare interessante per chi del Giappone conosce ben poco.
Recensioni
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Il diario scomparso, dopo un'edizione romana del 1937, e ora ritrovato, aveva un titolo vago, Foglia d'acero, e un sottotitolo didascalico, Scene di vita in Corea e in Giappone durante la guerra russo-giapponese (1904-1905). L'autore era Daniele Pecorini: un "gentiluomo veneto d'antico stampo" (scriveva l'amico curatore) o meglio un padovano senza timidezze, laureato in diritto internazionale, naturalizzato inglese, e da Londra partito per l'Oriente con funzioni commerciali (e diplomatiche, politiche). Pecorini ebbe la sorte di trovarsi poi imparentato, benché lateralmente, con la curiosissima Luisa Adorno che gli ha ridato vita. Pecorini racconta, in terza persona e con il dannunziano pseudonimo Paolo dall'Aquila, incontri e amori esotici. Luisa Adorno racconta, con la bella voce conversevole che le conosciamo, la propria ricerca per atlanti e per treni, e commenta infine il diario facendone emergere la storia d'un amore incupito, un femminile annullarsi per amore. Ma corregge il melodramma accentuando i tratti burattineschi del proprio personaggio. Eccola in treno a Padova, dove scende e corre al decimo binario: "Ma devo ricordarmi che alla mia età le vecchie si rompono i femori". Vedi la forza straniante di un semplice plurale. Così Adorno e Pecorini, diversamente avventurosi, affiancano nel libriccino, a distanza d'un secolo, due opposte esperienze e modalità di scrittura autobiografica.
Lidia De Federicis
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