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Immaginate un antico palazzo ed uno studio con mobili antichi ed una finestra dietro lo scrittoio che illumina di fioca luce il tavolo. Immaginatelo di notte con una luce lunare che penetra dai vetri, e forse sentirete in quale contesto è nata quest'opera. Pensate ad una musica che risuona e che questa musica sia un notturno di Chopin, vedrete ancora meglio. Questo libro di Mario Specchio è composto da sei racconti , tutti dichiaratamente biografici, ma in cui la vita dell'autore riesce a diventare vita di tutti . Il titolo è quello del primo racconto "Morte di un medico".da Nell'intenzione dell'autore il titolo avrebbe dovuto essere piuttosto "La fontana e la conchiglia" , racconto in cui Mario Specchio tratteggia la sua città natale ,Siena, dalla particolare piazza a "Conchiglia" . C'è tutto in questi sei brevi racconti : l'infanzia , la gioventù , l'amore , gli amici , la madre , la malattia , il dolore , il senso della lontananza dalla città natale. Tutto narrato in modo profondo e coinvolgente , con tono solenne , ma insieme armonioso e musicale . Uno stile del tutto particolare quello di Specchio , romantico e classico ad un tempo . Sono affrontati ,in particolare, i temi della gioventù e della morte . La gioventù è un avamposto privilegiato dal quale contemplare la morte , intesa come mistero che accompagna la vita e che le dà un senso , donandole una prospettiva di eternità.E' presente in questi racconti l'influsso di due autori cari a Specchio , illustre germanista e docente di letteratura tedesca : Thomas Mann , in particolare quello del "Tonjo Kroger" ,e Rainer M. Rilke nella costante riflessione sul senso della morte . Morte e vita si tengono per mano e le carte dell'esistenza sono continuamente rimescolate. L'influenza degli autori russi si può ravvisare , invece, nella percezione continua dell'estrema fragilità dell'equilibrio della serenità nell'esistenza.
Un signore che ci racconta dei fatti che sono proprio solo suoi, viene il sospetto che la pubblicazione sia dovuta solo alla introduzioncina di Tabucchi sul risvolto di copertina.
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Leggendo Morte di un medico, primo testo in prosa di Mario Specchio, germanista, traduttore e autore di poesie, sembra di vedere un uomo di spalle: fisicamente fermo e presente, itinerante e assente nei suoi pensieri. È un libro di riflessioni, prima ancora che di memorie; una meditazione autobiografica, un raccontare e un raccontarsi per nominare la propria vicenda, definirne il senso.
L'autore fa un bilancio e interroga il passato in quanto padre del presente, misura la felicità vissuta e quella persa; sa bene però che "la felicità non è uno stato, non è una condizione dello spirito", ma "un attimo nel quale si dimentica di averla attesa e si attende soltanto Godot". Se i viandanti beckettiani di En attendant Godot si fermano sotto un salice, Specchio si ferma allo scrittoio: da qui parte il percorso dei pensieri e dei ricordi, scandito da una scrittura discreta e autenticamente poetica, che arriva al lettore. Come nei quadri del pittore romantico Caspar David Friedrich, ispiratore di Beckett, dove figure umane ritratte di spalle, al centro dell'immagine, coprono il punto di fuga e fanno sì che chi osserva il quadro adotti la loro prospettiva, il loro sguardo rivolto all'orizzonte, il lettore di Morte di un medico può vedere l'autore mentre guarda la sua vita, scrivendola.
Il libro si struttura in sei racconti; il testo che gli dà il titolo e lo apre non sembra accordarsi con gli altri, palesemente autobiografici: il medico A., morente in una stanza d'ospedale, ripensa alla sua vita prima che su di essa cada la notte. Specchio fa parlare un personaggio, prima di dire "io", e gli affida il compito che sembra aver affidato a sé stesso scrivendo le sue memorie; questa strategia narrativa pare avere una funzione propedeutica per il cammino che egli percorre poi nel testo. La collocazione dei racconti successivi disegna una scala che porta gradualmente l'autore alla definizione del proprio passato, per ricercare in esso le radici del presente, quasi temesse una mancanza di futuro, di continuità. È un dialogo con la morte quello che fa Specchio, in fin dei conti. È infatti quest'ultima a chiudere i ricordi in cui l'autore torna a due amici siciliani conosciuti in Germania deceduti prematuramente, a uno studioso americano spento dall'Alzheimer, al nonno mancato quando era bambino, nei racconti che formano il nucleo centrale dell'opera.
Seguendo un ordine che è tutto intimo e fatto di libere associazioni, l'io narrante si sofferma sull'infanzia in Piemonte, sulla gioventù senese, sulla maturità a Firenze, come a voler ricercare gli elementi che hanno determinato la sua identità presente. Nel racconto che chiude l'opera, il ripensare agli anni dell'università, all'attività intellettuale, alla lettura e la scrittura come fattori esistenziali, dà spazio a riflessioni profonde sul sé, la propria generazione, la propria filosofia. Sono immagini come quella di un fiume che scorre, l'Arno, a rendere visibile un collegamento tra il prima e l'ora dell'autore, che segnalano la vita e il suo avanzare, forse, verso il buio.
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