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Gran bel romanzo, mi è piaciuto anche se non sono un appassionato del genere storico-investigativo. Caotica la quarta di copertina che non incoraggia certo all'acquisto. Invece è ben scritto, con una trama fitta e ricca di suspense.
Recensioni
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Soggettivista argentino, Pablo De Santis con questo romanzo, suddiviso in brevissimi capitoli, costruisce una storia di messaggi nascosti, superstizioni, automi e assassini ruotanti intorno a un vecchio calligrafo (l'io narrante) che ricorda di aver indagato in gioventù, per incarico di Voltaire, su di una oscura congiura domenicana. Questo sebbene non apprezzi granché la cultura illuministica, con il suo relativismo, né la Rivoluzione, a suo dire ideata da "scrittori frustrati", e sebbene dipinga Voltaire a Ferney come un individuo decrepito che talora prende a danzare spinto dal "rumore del mondo". Già da siffatti particolari si dedurrà che questo non è un lavoro riuscito. In atmosfere improntate al magico e all'onirico, il timbro narrativo è infatti troppo solenne – irrigidendo fatalmente quello utilizzato in modo magistrale da Calvino negli spaccati delle Città invisibili –, molte battute nei rarissimi dialoghi appaiono cervellotiche, la stessa narrazione è, se vista nell'insieme, sfilacciata. Non mancano le banalità ("entrò il nano, più piccolo ora che il peso del mondo lo schiacciava"; gli orologiai si muovono nella città come lancette, poche righe dopo parlano con sillabe corrispondenti a esatte frazioni di tempo, e infine scattano, come per un impulso imperioso, al suono delle campane; la casa del costruttore di automi sembra un grande meccanismo, mentre di lì a qualche pagina i suoi ospiti, all'improvviso, non sanno più come muoversi; poi si legge che la lingua dei becchini è a volte "secca e ritmata come palate di terra"). Il libro è tuttavia da apprezzare per le notizie che offre intorno all'arte calligrafica, oggi ormai dimenticata.
Daniele Rocca
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