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Anno edizione: 2012
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Titolo: 1914Autore: Canfora LucianoEditore: SellerioData: 2006In-16 (Cm 19,5 x 12), pp. 165, brossura editoriale illustrata con alette. Con una nota di Sergio Valzania. Collana Alle 8 della sera. COME NUOVO
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Considerato tra i più autorevoli esperti mondiali di Storia greco-romana e di cultura classica, con questo rapido ma sostanzioso volume Canfora si cimenta con una tappa fondamentale della Storia contemporanea. Lo studioso barese ci riporta al 1914, anno di enormi tensioni tra le potenze europee e che il 28 luglio, un mese dopo l’assassinio dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, vedrà lo scoppio della “Grande Guerra”. Lo considero un valido testo per avvicinarsi all’ingarbugliato periodo che precedette l’inizio del conflitto, alcune questioni vanno ovviamente approfondite su testi specialistici ma Canfora ci offre una discreta e obbiettiva base di partenza.
Recensioni
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Quale data è più decisiva: il 1914 o il 1917? La domanda può sembrare irrilevante, ma non lo è. Scegliere l'una o l'altra comporta modi diversi di riflettere sul Novecento, ossia per dirla alla Hobsbawm sul "secolo breve". Il primo, almeno in Italia, a insegnare agli storici che "pensare la storia è certamente periodizzarla" fu, com'è noto, Benedetto Croce nella sua opera maestra (Teoria e storia della storiografia). Fissare dei limiti cronologici di inizio e fine è operazione di sostanza e non di forma, che contraddistingue lo storico dal cronista; significa, in ultima analisi, interpretare il flusso altrimenti indistinto e indistinguibile degli eventi.
Tornando alla domanda iniziale, negli anni scorsi è stato soprattutto Ernst Nolte (Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945) a sostenere che data di inizio della "guerra civile europea" è il 1917, cioè la Rivoluzione bolscevica, di cui il nazismo sarebbe una reazione. Ipotesi molto discussa, come si sa; e respinta da Luciano Canfora in questo 1914, primo volume della nuova collana Sellerio "Alle otto della sera", che raccoglie le conversazioni tenute alla radio da noti studiosi nell'omonimo programma di Radiodue (collana diretta anch'essa dal direttore radiofonico Sergio Valzania). Canfora è noto soprattutto come antichista, artefice di libri importanti su numerosi temi e problemi del mondo greco e romano (memorabili, fra i tanti, quelli sugli storici greci, sul concetto di ellenismo e la biografia di Giulio Cesare). Ma è pure autore di densi studi sulla cultura classica in epoca moderna (ultimo Il papiro di Dongo uscito l'anno scorso per Adelphi) e suòle ideologie politiche dell'epoca contemporanea, libri che hanno spesso scatenato accese discussioni; il volume Democrazia. Storia di un'ideologia (Laterza, 2004) fu al centro l'anno scorso di una vivace polemica editoriale con l'editore tedesco Beck che si rifiutò di tradurlo (di recente ne è uscita una seconda edizione con una nota polemica: L'occhio di Zeus. Disavventure della Democrazia).
Non sono campi d'interesse tra loro separati; se prendiamo questo 1914, ad esempio, è chiaro che Canfora sa mettere a frutto la migliore lezione della grande storiografia greca (di Tucidide in particolar modo), e la sua distinzione tra "pretesti" e "cause profonde". Come si sa, il primo conflitto mondiale sorse ufficialmente come conseguenza del mortale attentato a Sarajevo contro il principe ereditario di Austria-Ungheria; ma può bastare un attentato per scatenare una guerra di quella portata e dimensioni? L'incidente di Sarajevo (l'osservazione è di Arno Mayer) avrebbe potuto essere risolto da negoziati diplomatici o attraverso una guerra convenzionale. L'analisi di Canfora si allarga così ai molteplici antefatti, dalle guerre balcaniche alla fallita rivoluzione russa del 1905, per concentrarsi poi sulle tensioni tra le grandi potenze europee per la spartizione coloniale in Africa. La conclusione è che la responsabilità bellica va equamente suddivisa tra tutti i partecipanti, al di là dell'assordante propaganda che non solo allora ma anche in seguito preferì attribuire la responsabilità in toto alla Germania.
E qui affiora un'altra caratteristica degli storici classici, la distinzione tra realtà dei fatti e propaganda ufficiale, su cui Canfora non si stanca mai (giustamente) di insistere. Durante e dopo la guerra si è cercato di far credere che si trattava di uno scontro tra democrazie, da una parte, e autocrazie, dall'altra; ma un esame lucido rivela quanto fosse arbitraria e di comodo tale versione (e uno dei pochi, non solo in Italia, a rifiutare l'asservimento alla propaganda bellica, fino a essere accusato di tedeschismo e disfattismo, fu Benedetto Croce, per cui tutto era "doveroso dare per la patria, salvo la moralità e la verità"; si vedano le Pagine sulla guerra, poi raccolte in L'Italia dal 1914 al 1918).
Il rilievo dato alla propaganda rientra nell'ambito dell'importanza attribuita ai fattori spirituali, culturali, ideologici che giocarono (e giocano) un ruolo non secondario accanto ai fattori materiali; anzitutto perché la propaganda bellicista fu spesso fondamentale nell'orientare l'opinione pubblica alla guerra arrivando a coinvolgere molti tra i più grandi intellettuali del tempo, da Bergson a Simmel agli antichisti tedeschi Wilamowitz e Meyer; ma anche perché vi sono fenomeni che non si spiegano se non si tiene conto, ad esempio, del condizionamento esercitato dalla rigida educazione militare prussiana sui soldati tedeschi, o della russofobia che prendeva perfino Engels, il padre fondatore del socialismo tedesco.
Se il campo di moventi e forze che tendevano al conflitto è ben illuminato, Canfora è lontano da un ferreo determinismo, proprio in passato di tanta storiografia non solo marxista: attraverso l'illustrazione di episodi o documenti poco noti al grande pubblico, dimostra che la guerra non era così scontata dopo l'attentato di Sarajevo, come potrebbe sembrare a posteriori: il Kaiser tedesco, ad esempio, ebbe un atteggiamento iniziale molto possibilista, dopo l'arrendevole risposta serba all'ultimatum austriaco. Il 1914 appare così uno di quei sentieri in cui si biforca il cammino della storia, per parafrasare un celebre racconto di Borges; apre "un'epoca di crisi e di catastrofi" (per citare ancora una volta Arno Mayer), di disgregazione non solo di imperi, ma anche di quei valori culturali che avevano accompagnato l'espansione borghese nell'Ottocento. Che la guerra mondiale sia stata la matrice dell'involuzione autoritaria e poi fascistica è opinione consolidata nella cultura storica italiana (basterebbe citare il classico L'Italia contemporanea di Chabod); merito di Canfora sottolineare che "la svolta autoritaria comincia in realtà con l'inizio stesso della guerra", in Germania come in l'Italia: l'entrata in guerra del nostro paese è il frutto di una forzatura che non è improprio chiamare colpo di stato.
In una prosa che riproduce il tono colloquiale delle conversazioni radio, senza peraltro mai perdere di eleganza, i riferimenti strettamente storici si intrecciano con citazioni letterarie non fini a se stesse: una pagina di Thomas Mann o perfino di Conan Doyle ci fa capire Canfora può rivelare meglio di un documento ufficiale clima e umori di un'epoca.
Dino Piovan
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