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Quando nei romanzi si parla di cibo sembra che non si sfugga all'incontro degli opposti. Se come rende evidente Sulla strada di Kerouac l'atto del mangiare è una delle occasioni ricorrenti nei libri di viaggio non è infrequente infatti che il medesimo gesto si associ all'esatta immobilità dell'infanzia a quella stasi che si costruisce nella memoria attorno al mito dell'intimità familiare. Allo stesso modo si configura la coppia cultura-natura (o corporeità) dove il primo termine rimanda a ciò che Lévi-Strauss destina al campo del cotto e il secondo che si declina nei sensi ambivalenti di vitalità e disgusto a quello del crudo.
Quanto si arricchisca di percorsi e di prospettive la lettura di alcune opere narrative dell'Otto-Novecento seguendo la mappa (o gli odori?) del cibo lo evidenzia il libro di Maria Grazia Accorsi in cui l'autrice (che ha a lungo insegnato all'università) amalgama con tono affabile expertise storico-letterarie e culinarie in una successione di analisi e ricette d'autore che vanno secondo le istruzioni del sottotitolo Dal giovane Werther a Sal Paradiso. Ne emerge la rilevanza che il tema possiede – sia sul piano delle idee che su quello dei meccanismi della narrazione – in molti libri-chiave della letteratura contemporanea. A più livelli. Il più ricorrente è quello determinato dalle esigenze d'ambientazione. Nell'Educazione sentimentale per esempio Flaubert costruisce i personaggi anche dicendoci come preparano una cena con quali portate e con quali allestimenti. Frequente è l'espediente di organizzare cene o pranzi per presentare protagonisti e comprimari (è il caso di Mann nei Buddenbrook) o per creare occasioni di incontro/scontro tra gli stessi (come Goethe nelle Affinità elettive e Virginia Woolf in Al faro).
A un ulteriore livello il cibo diventa l'asse portante della narrazione. Nelle Confessioni di un italiano Nievo realizza dei ritrattini ancora quasi settecenteschi (…) quasi sempre con un sentore di cucina: così le guance del Piovano di Teglio ricordano il formaggio stracchino mentre il cappellano di Fratta avrebbe dato la benedizione col mescolo di cucina. Nell'Ulisse Joyce fa entrare il cibo dappertutto: nel ricordo nel progetto nella cronaca nell'aneddotica alimentare. Come ribadisce Accorsi infatti per lo scrittore irlandese se l'uomo è mente e corpo è molta carne e molto cibo transito da cui il cibo entra ed esce. Il cibo acquisisce la funzione di strumento per dire che cosa se ne pensa del mondo. D'Annunzio per esempio lo chiama in causa (raramente) per manifestare disprezzo verso la volgarità ferina della plebe. O addirittura diviene il linguaggio per esprimere il mondo: è la strategia di Gadda lo spregiatore del rustico e intollerabile gorgonzola-croconsuelo di cui s'abbuffanno i peones della Cognizione del dolore che così scrive: Con me saranno gli animi piegati ad amare sofferire indurire: e se qualche mal odore torcerà lo stomaco a qualcheduno delli eroi manderemo per sali ed aromi a corroborarlo.
Andrea Giardina
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