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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2020
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Non mi dilungo nella descrizione, le recensioni qui presenti sono precise ed esaustive. Ribadisco solo che siamo di fronte ad un autentico scrittore, purtroppo poco conosciuto, questo è un libro di grande letteratura, dai valori universali, poco letto ahimé, ma sicuramente destinato a durare nel tempo.
Un bel libro, letto con notevole ritardo rispetto alla sua uscita, in quanto tutte le sue edizioni risultano da diverso tempo esaurite e tuttavia una lettura ricercata dopo il fortuito incontro con “Il vicolo blù” che mi ha rivelato un piacevolissimo autore. La lettura de Il sarto della stradalunga mi appare oggi come un poetico quadro della miseria che serpeggiava nei paesi del meridione d’Italia fino a diversi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Una miseria vissuta, allora, con dignità, quasi uniformemente distribuita nella popolazione, quando ancora si cercava la possibilità di avere retribuita qualche giornata di lavoro nella piazza principale del paese aspettando l’offerta di un lavoro manuale nella campagna di qualche proprietario terriero o dal frantoiano, al tempo della raccolta delle olive. Lavoro che accettava anche il sarto della stradalunga poiché raramente, gli altri, gli ordinavano la confezione di qualche nuovo vestito stante che di lire ne circolavano pochissime. Un quadro ormai stagionato ma oggigiorno restaurato col pennello che attinge ai colori africani, al tempo della raccolta dei pomidoro e dell’altra frutta e verdura di stagione. Ma la miseria dei tempi del sarto della stradalunga è solo uno dei tanti filtri di lettura, forse quello meno vestito di poesia poiché tanti altri fanno capolino fra le pagine.
Quel che non resta addosso può tuttavia restare dentro, e il dentro è un addosso ancora maggiore. E' il luogo in cui la memoria salva e incoraggia, l'intatto che innalza su mani contadine una meravigliosa traccia di tradizione, la ferocia del fare, del prendere, primitivo artiglio indispensabile alla sopravvivenza. La sfortuna si può capovolgere, c'è il gesto, il braccio teso, e anche se lo stomaco non resta mai interamente sazio, può lo stesso pesare l'essenza del bastevole, del poco, del vero e affidarli nei giorni al canto dell'esperienza. Tre sguardi attorno a cui ruota una comunità; l'analfabeta che si avvicina timido per farsi scrivere una lettera d'amore, la zitella per scelta (o per destino) che vira la sua maternità mancata nell'accudire i nipoti, il diffidente attentissimo a salvare le sue cose, e tanta altra umanità che circola e si affaccia nelle pagine negli impeti e nelle dolcezze di un mondo che quasi odora di condanna. Ma è questa la grandezza: sotto un sole che spacca la terra e rovina le schiene, dentro una civiltà consegnata a una miseria pressochè inguaribile, si alzano come aquile di dignità sublime le voci delle attese, dei ricordi, le albe del mito e degli odori, nel seme di un'infanzia mai vissuta perché presto, troppo presto chiamata ad aiutare con qualsiasi lavoro una famiglia alle strette. La poesia ha lo stesso movimento del dolore, e l'arcaico più remoto, in ogni sua cadenza,ha il suono di un'innocenza che sconvolge.Non esiste un sangue villano, esiste solo una geografia sfortunata.Gli uomini restano quelli, tremanti e imperfetti ovunque.Questo romanzo è un'elegia indimenticabile, un poema, un canto funebre, un inno alla terra, ai suoi frutti, un inno alla scrittura. Letto in un Agosto che ruggisce fuoco, romanzo che entra nel cuore con brividi laceranti.Quando non sembra esserci più speranza,la letteratura si alza dalla sua povera branda e inizia a raccontare.
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