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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2013
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Danilo Dolci ci porta a Partinico. Dolci ci introduce nella realtà di Partinico, fatta di miseria, a distanza di soli 30 km dalla capitale dell’isola Palermo. É una realtà fatta di ignoranza e di miseria, la miseria più nera, che si coniuga con l’ignoranza più profonda. Una frase: O acchiana u liberale, o acchiana u democratico, sempre a zappare iu haiu a ghire.”
Nella prima metà degli anni cinquanta, mentre Danilo Dolci raccoglieva a Partinico e a Trappeto le testimonianze di vita dei loro abitanti, io vivevo a Palermo, a una trentina di chilometri di distanza, dove frequentavo l’Università. Ebbene, devo confessare che non avevo nessuna idea degli abissi di miseria e di disperazione dei disgraziati abitanti di quei luoghi, della tragedia di non poter dare da mangiare ai loro figli. C’è voluto, a mezzo secolo di distanza, questo libro per aprirmi gli occhi, per farmi comprendere che frasi come “togliersi il pane di bocca per lasciarlo ai figli” non erano modi di dire ma spaventose realtà. Realtà che le autorità di allora riuscivano a tenere nascoste, anche attraverso la vera e propria persecuzione messa in atto contro chi, come Danilo Dolci, reclamava un più umano trattamento per il popolo di quei paesi. Il libro si affianca ai “Racconti siciliani” dello stesso Autore. Invito a leggerli entrambi, anche se provocheranno nel lettore, come è successo a me, sentimenti di dolore e di rabbia. Ma la realtà è inutile nascondersela anche perché dopo cinquant’anni non tutte le cause della miseria sono state rimosse.
Recensioni
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"Quante volte ciascuno di noi ha rimuginato un lungo e complicato discorso sulla situazione della nostra società e della nostra cultura, e sui rapporti tra questa società e questa cultura, quali si sono rivelati in modo drammatico negli anni dopo la caduta del fascismo. Queste pagine di Danilo Dolci lo abbreviano singolarmente, portandoci in mezzo alle cose, a quelle cose che non conoscevamo o volevamo non conoscere o fingevamo di non conoscere. E sono, da un lato, la miseria, la fame, la follia, la disperazione di un piccolo quartiere di una cittadina della Sicilia; dall'altro, l'indifferenza, l'incuria, il cinismo, la prepotenza di coloro, grandi e piccoli, che reggono le sorti dello Stato. Sono due facce della stessa medaglia". Sono parole di Norberto Bobbio, un Bobbio particolarmente ferito e risoluto, dalla prefazione a Banditi a Partinico, pubblicato da Laterza nell'ottobre del 1955 e riproposto ora al lettore italiano dopo molti decenni di assenza.
Giunto nel 1952 in uno degli angoli più desolati e insanguinati della Sicilia, Dolci aveva presto avviato la sua tenace battaglia per il riscatto dei "poveri cristi", combattuta con i digiuni (il primo, sul letto di un bambino morto letteralmente di fame), le manifestazioni pubbliche, il lavoro di "autoanalisi popolare", l'attività antimafia, l'impegno educativo. Non erano mancate polemiche, derisioni, calunnie, minacce. Il libro rappresenta un momento importante di questa vicenda: pur non essendo l'opera prima di Dolci, la sua uscita contribuisce a precisare meglio il profilo dello scrittore e innovatore sociale, triestino di nascita e siciliano per scelta, inusuale esempio di "emigrante alla rovescia", dal Nord verso il Sud, in un paese dove la necessità di sopravvivere muoveva e spesso muove ancora oggi nella direzione opposta centinaia di migliaia di persone.
Banditi a Partinico modifica radicalmente il modo di guardare e di pensare il Meridione: i banditi del titolo, prima ancora che delinquenti, sono cittadini emarginati, esclusi senza appello, banditiper l'appunto, dal consorzio civile, determinati alla violenza dalla disperazione e dall'assoluta mancanza di alternative. I loro volti ci vengono mostrati da otto straordinarie fotografie di Enzo Sellerio, scattate a Partinico nel '55, che arricchiscono la riedizione del volume.
Con una tecnica in parte sperimentata nei lavori precedenti, la povertà, la sofferenza, il degrado non sono soltanto descritti: i braccianti, i mendicanti, i pescatori, la folla di creature che tenta di guadagnarsi un'ardua sopravvivenza raccogliendo lumache o verdure selvatiche rompono la consegna del silenzio, prendono la parola per raccontantarsi in prima persona. L'effetto è quello di un velo squarciato, di una verità mostrata, finalmente, per ciò che è. A questo risultato contribuisce non poco la lingua: un impasto incerto di italiano e di vernacolo, un insieme di voci aspre, crude, rozze, fornite talvolta di accenti poetici, sempre profondamente autentiche, concrete: "Non si cerchi il campione di filologia, la purezza del siciliano classico: il dialetto è in evoluzione verso la lingua nazionale; e chi parlava, per farsi meglio capire, se sapeva, s'impiducchiava di italiano".
La postfazione di Paolo Varvaro ricostruisce con efficacia la rimarchevole fortuna del libro, le tre edizioni tirate in pochi mesi, le traduzioni nelle principali lingue europee, le polemiche scatenate e le numerose recensioni, ma anche le nuove iniziative di Dolci e, in particolare, la realizzazione, nel febbraio del '56, dello "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati impegnati a riattivare una strada pubblica, il conseguente arresto e l'imprigionamento all'Ucciardone, la costituzione in Italia e all'estero di comitati di solidarietà, la scarcerazione dopo un famoso processo, nel quale Carlo Levi ed Elio Vittorini deposero come testimoni per la difesa e Piero Calamandrei pronunciò la sua ultima, vibrata arringa.
A oltre mezzo secolo dalla prima pubblicazione, Banditi a Partinico rappresenta non solo uno strumento imprescindibile per la conoscenza di una Sicilia e un Meridione che in larga misura non esistono più, ma anche un documento prezioso, dolente e vigoroso nel contempo, del lungo dopoguerra e della tortuosa rinascita civile e democratica del nostro paese. "È il libro scrive Varvaro, che meglio degli altri raffigura le speranze e le ingiustizie degli anni cinquanta.
"Dopo aver letto queste pagine annota ancora Bobbio, ascoltate la risonanza sinistra o ironica che acquistano nel vostro animo parole come democrazia, giustizia, legge. E chi avrà afferrato il suono nuovo e scandaloso di queste parole, e se ne vergognerà, avrà acquistato una singolare chiarezza di mente e libertà di spirito per ricominciare a parlare, senza orgogli intellettualistici, al contrario con molta umiltà e moderazione e senso della difficoltà e dei limiti, di democrazia, giustizia, diritto, legge". Giuseppe Barone
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