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Divertente e dissacrante
Il contesto di una realtà effettiva, il ventennio fascista, offre lo spunto alla fantasia di Camilleri per inventare un personaggio ed una storia ben incastonata nell’inesistente Vigàta e che gli permette di ironizzare su quel periodo storico con gli occhi degli anni successivi. Ben scritto e congegnato.
Esilarante, uno dei pochi libri che mi ha suscitato la risata sonora. Vero, nelle descrizioni e nel racconto dei fatti, che narrano il periodo del ventennio con rara efficacia. Un Camilleri in grande forma. Da leggere e rileggere.
Recensioni
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È difficile trovare qualche testo di Camilleri che ai suoi innumerevoli ammiratori possa non piacere, però ci sono i veri e propri cultori dei suoi romanzi storici. La grande popolarità in effetti gli è arrivata con un romanzo che ha delle analogie con quest'ultimo libro, non nel contenuto ma nello stile: stiamo parlando de La concessione del telefono, romanzo che mise in luce le doti che caratterizzano Camilleri, di certo uno dei più amati e stimati scrittori in Italia e all'estero, e l'originalità del suo approccio ironico e sferzante ai tanti, e da lunga data irrisolti, problemi del nostro paese.
L'epoca in cui è collocato Il nipote del Negus è quella fascista, il luogo è, naturalmente Vigàta. Il protagonista è però del tutto inconsueto: un bel ragazzo di colore con l'esuberanza dei diciannove anni e una furbizia straordinaria, capace di irretire in particolare le donne, ma di certo anche uomini e notabili che, in quanto nipote del Negus, fedele alleato del Duce, lo accolgono, pur tra titubanze, con dispendio di denaro e dandogli privilegi inconsueti.
Abbiamo dei "falsi documenti autentici" e dei carteggi, scritti nel linguaggio tipico del fascismo imperante, che ci testimoniano sia le perplessità dei funzionari locali, sia l'obbligo morale di onorare l'amicizia illustre del grande capo e di trattare quel simpatico scavezzacollo truffaldino (per di più nero...) con ogni riguardo. Anche quando le imprese del ragazzo sembrano superare la decenza, nessuno osa fermarlo e non si capisce se per debolezza o per rispetto alle indicazioni che vengono dall'alto. Meglio sacrificare qualche debole che rischiare di scontentare i potenti!
La furbizia del ragazzo è tale che riesce a farsi dare un sacco di soldi da tutti, denaro che lui bellamente sperpera con prostitute, giocando o comprandosi abiti eleganti. Inoltre riesce ad ottenere (e siamo in Sicilia e negli anni Trenta) di andare ad abitare nella casa dove vive con i genitori una ragazza, innamorata di lui, che sta insidiando. Ma questo non gli basta, tanto che... mai raccontare il finale di un libro!
Ma intorno al nipote del Negus ecco descritti i tanti piccoli funzionari di regime e le autorità paesane che, rigorosamente in ordine gerarchico, rispettano gli ordini che arrivano da "ancora più in alto"... ma nell'ubbidienza c'è anche un aspetto: mai muovere tropo le acque perché può emergere la corruzione e gli abusi che in piccolo o in grande, tutti praticano.
Così come il sempre asserito pudore e la castità delle fanciulle, sembra lasciare il posto a un fremito dei sensi e alla voglia (che il principe è sempre pronto a soddisfare) di godere dell'amore ricambiato.
Inganni e tradimenti, che si concludono con un curioso lieto fine: gli uomini del regime riescono in qualche modo, e non grazie a loro, a liberarsi dell'ingestibile principe.
Questa storia romanzesca nasce da un dato di realtà, Camilleri infatti ha preso spunto dalla notizia della presenza a Caltanissetta del principe Brhané Sillassié, nipote autoentico del Negus Ailé Sellassié dal 1929 al 1932 come studente della locale Regia Scuola Mineraria. Nei suoi riguardi però il comportamento degli italiani fu tutt'altro che gentile e il giovane invece dimostrò, in un secondo momento, quando gli italiani furono cacciati dal suo paese, molta generosità. Di simile al protagonista del romanzo c'è la bellezza, il fascino del giovane e il suo essere spendaccione.
A metà strada tra cronaca e farsa, Andrea Camilleri torna alle sue ricostruzioni storiche, forse quelle meglio riuscite dopo la serie dedicata al commissario Montalbano, e ambienta il suo ultimo romanzo nella Vigàta del 1929. L'Italia fascista è nel pieno della sua affermazione, il governo ha già assunto i pieni poteri con la costituzionalizzazione del Gran Consiglio del Fascismo e l'instaurazione della dittatura, sono appena stati firmati i Patti lateranensi mentre una nuova fase espansionistica interessa la politica estera. Anche l'Italia è alla ricerca di "un posto al sole" in Africa orientale, un interesse che culminerà, nel 1935, con la guerra in Etiopia e la cacciata del re abissino, il Negus Ailé Selassié.
Prima che si compia il progetto coloniale, Mussolini sta cercando di ottenere un dominio africano, bacino di mano d'opera a basso costo, con i mezzi diplomatici. Quale migliore occasione della presenza sul territorio italiano del Principe Grhane Sollassié Mbassa, nipote diretto del Negus? Il ragazzo, un aitante diciannovenne pieno di vita e di entusiasmo, dal 1929 al 1932 studia alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta dove si diploma perito minerario. Sono mesi di sconquassi, quelli che vedono il giovane Principe scorrazzare per il paese siciliano. Nonostante tutti gli accorgimenti usati dalle autorità, preoccupate di mantenere cordiali i rapporti diplomatici tra l'Italia e l'Abissinia, il Principe Grhane non riesce a restare neanche un giorno lontano dai guai.
Il romanzo, scritto in forma di dossier come La concessione del telefono e La scomparsa di Patò, è tutto un susseguirsi di verbali, informative, articoli di cronaca locale e stralci di conversazioni notturne e diurne carpite nei luoghi più disparati tra gli abitanti di Vigàta. Il Ministero degli Esteri scrive al direttore della Scuola Mineraria, il Commissario di Montelusa scrive al Questore, che convoca il Prefetto e allerta il Podestà dopo aver sentito Il Segretario Federale del Partito Fascista e la Curia vescovile. Cambiano le intestazioni ma l'oggetto delle lettere è sempre lo stesso: il negro, l'abissino, l'etiope.
Furbo, avventato e incontenibile, il giovane Principe non disdegna le attenzioni di uomini e donne, vecchie e giovani. Amante del lusso, viene foraggiato sia dalla corte etiope, che si è incaricata di coprire le sue spese correnti, purché contenute nel limite di mille lire mensili, sia dal Partito Fascista, che per evitare incidenti paga tutto il resto. A Grhane Sollassié Mbassa (Grhanuzzo mio per alcune giovani del luogo) i soldi non bastano mai. Gli abiti di sartoria, l'arredamento completo della casa in cui è ospite, le frequenti visite al bordello e il vizio del gioco, tutti gli agi che gli impone il suo rango, hanno un costo che suo zio non intende coprire, così il Principe chiede in prestito, anzi piuttosto estorce, montagne di denaro a chiunque con ogni mezzo. Le autorità del regime, costrette a tollerare ogni suo capriccio per espressa volontà di S. E. Benito Mussolini, aspettano impazienti la firma di un accordo diplomatico tra i due Paesi, mentre il giovane Principe si fa beffe del Duce e dei suoi uomini, dei notabili come delle forze dell'ordine, delle regole e della buona educazione. Una vera furia, un demonio strafottente e cinico che, con lo sguardo distaccato dello straniero, irride il fascismo e i suoi ridicoli mezzi di propaganda.
Ancora una volta Andrea Camilleri imbastisce una trama leggera, godibile, carica d'ironia, facendo trasparire una critica aspra e pungente verso quel "clima di stupidità generale, tra farsa e tragedia, che segnò purtroppo un'epoca".
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