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Ne ammazza più la penna. Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali
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Ne ammazza più la penna. Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali - Pier Luigi Vercesi - copertina
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Ne ammazza più la penna. Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali

Descrizione


"Ne ammazza più la penna" è la storia dei giornalisti italiani dai tempi della caduta di Napoleone - e precisamente dal primo possibile scoop, il misero fallimento dell'impresa di Gioacchino Murat fermato dalla plebe calabrese nel 1814 mentre tentava di tornare sul trono di Napoli - fino agli anni Sessanta del Novecento. Storia di giornalisti, più che del giornalismo, da Ugo Foscolo (messo a libro paga dagli austriaci) alla rivoluzione editoriale di Enrico Mattei. Giornalisti avventurieri, giornalisti scandalosi, giornalisti venduti e comprati, giornalisti eroici, disvelatori di luminose verità o occultatori di vergogne nazionali: dai grandi ai meno noti, ognuno con la precisa cifra della propria personalità. Mentre le loro carriere si adeguano alle innovazioni tecnologiche, politiche, culturali, sociali e finanziarie del mondo che cambia, sullo sfondo della vita in redazione scorre la storia d'Italia nei suoi momenti cruciali, colti nella realtà quotidiana. Così il rapporto tra i due versanti del racconto - i giornalisti e la storia d'Italia - è tessuto in modo tale che i giornalisti sembrano quello che in realtà furono: l'ombra della storia d'Italia, il suo lato meno noto, ma parte integrante, e a volte determinante, dell'intero. Patriottismi e scandali, ideali e corruzione, coraggio innovativo e conflitti d'interesse, servitù culturale e ardimento d'avanguardia, fanno da refrain a un racconto che diventa, pagina dopo pagina, una storia culturale minuziosissima di notizie...
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Dettagli

2014
30 ottobre 2014
382 p., Brossura
9788838932373

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Brando Bolis
Recensioni: 4/5

Un ottimo testo che permette di conoscere la storia italiana sotto un punto di vista originale che è quello dei giornalisti e dei giornali in cui essi hanno lavorato. Gustosissimi aneddoti ai più sconosciuti rendono la lettura piacevole e affatto pesante. Sicuramente l'autore non ha assolutamente posizioni filo-comuniste (eufemismo), ma ad eccezione di ciò rimane un ottimo libro sia per chi è appassionato di storia che per chi è curioso di conoscere la vita dell'informazione giornalistica.

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Voce della critica

  Vizi eterni del giornalismo. Anno 1815, leggiamo i titoli del "Moniteur" dopo la fuga di Napoleone dall'Elba e a mano a mano che l'esule si avvicina al recupero del potere. 9 marzo: "Il mostro è fuggito dall'esilio". 10 marzo: "L'orso di Corsica è sbarcato". 11 marzo: "La tigre si è mostrata a Gap, concluderà la sua miserevole avventura tra le montagne". 12 marzo: "Il mostro è avanzato". 13 marzo: "Il tiranno è a Lione". 18 marzo: "L'usurpatore ha osato avvicinarsi alla capitale". 19 marzo: "Bonaparte avanza a marce forzate". 20 marzo: "Napoleone arriverà domani sotto le mura di Parigi". 21 marzo: "L'Imperatore è a Fontainebleau". 22 marzo: "Ieri Sua Maestà l'Imperatore è arrivato alle Tuileries. Niente può superare la gioia universale". Vercesi, oggi direttore di "Sette" del "Corsera", e già redattore a "La Stampa" e al "Corriere", ha ripescato questo capolavoro del "Moniteur" da un fornitissimo archivio di storie e notizie su quasi due secoli di vita del giornalismo, quello italiano soprattutto. Merita partire da lì per raccontare questo suo lavoro, che il titolo Sellerio inquadra in un ambito dove letteratura e potere, informazione e manipolazione, ambizioni e miserie, si fanno un delizioso pasticcio di avventure e disavventure la misura della cui nobiltà mai corrisponde all'idea che ne avevano i protagonisti. I libro è lo straordinario racconto di come l'Italia, paese in lenta e ansimante formazione, sia diventato uno stato, e magari una nazione, anche attraverso i racconti che di questa creazione ne facevano giornali e giornalisti, prima nelle gazzette e nei salotti dell'Ottocento, poi nelle battaglie politiche del giolittismo, quindi gli anni dell'orbace e il fascismo, e infine la nuova democrazia repubblicana. Si comincia da Ugo Foscolo, poeta illustre ma anche redattore giornalistico per il "Monitore italiano", tanto diligente da lasciarsi incantare dalle sirene dell'imperatore d'Austria e per un suo nuovo giornale finanziato da Vienna che traccia un programma editoriale di cieca obbedienza al potere: "Ogni casa regnante ha bisogno, diritto e dovere di ridurre le opinioni dei suoi sudditi al suo sistema di governo" (per fortuna sua, però, Federico Confalonieri e Giuseppe Pecchio si chiudono in una stanza con il devoto esule e, in un serrato confronto, lo convincono alla fine che è meglio lasciar perdere, che la sua dignità ne sarebbe stata pesantemente violentata, e in una notte intemerata Foscolo scappa di nascosto in Svizzera abbandonando la divisa austriacante che già s'era fatto preparare e il lauto compenso che l'avrebbe accompagnata). Il lungo viaggio diacronico passa dentro l'Ottocento e il Novecento con storie giornalistiche ben poco commendevoli, e nelle sue ultime pagine si chiude con la Milano da bere, dopo che giornali e giornalisti hanno traversato dapprima il regno in lenta edificazione, poi la prima guerra mondiale, il fascismo, poi ancora un'altra guerra, la nascita della repubblica, il neocapitalismo, e sempre, quale che fosse lo scenario storico, hanno saputo ritrovare la loro relazione accomodante con i poteri, i partiti, la grande finanza, il Vaticano: dentro queste pagine, naturalmente, Cavour e Giolitti, Mussolini e D'Annunzio, Cristina di Belgioioso e Ferrero, Afeltra e Mattei, e Rino Alessi, Paietta, Virgilio Lilli, Barzini, Malaparte, Togliatti, Missiroli, Buzzati, Vergani, Giovanni Agnelli accomodante con Tambroni, insomma una sapida galleria di ritratti, di speculazioni, di conformismi diffusi, di rare difese della dignità d'un lavoro che invece e con qualche ragione (allo stesso modo, Otto o Novecento) i padroni delle testate editoriali considerano poco più d'un servizio dovuto. Hanno ragione, i padroni delle testate, perchè il carattere del giornalismo italiano che i quasi due secoli di protagonisti del libro finiscono per definire con inquietante continuità rivela una gaglioffagine diffusa, un'ampia disponibilità al servilismo intellettuale, un cedimento volenteroso al conformismo e al quieto vivere, come se queste debolezze d'un mestiere avvilito siano l'altra faccia dell'identità di un popolo. Vercesi, comunque, racconta, e bene, ma non dà giudizi. Questi, li tira fuori da se stesso il lettore, e non è un risultato consolante.   M. C.  

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Conosci l'autore

Pier Luigi Vercesi

1961, Corteolona

Pier Luigi Vercesi è nato a Corteolona nel 1961. Inviato del Corriere della Sera, ha scritto numerose opere tra le quali La notte in cui Mussolini perse la testa. 24-25 luglio 1943 (Neri Pozza, 2019), Fiume. L'avventura che cambiò l'Italia (Neri Pozza, 2017), Il marine. Storia di Raffaele Minichiello (Mondadori, 2017), Storia del giornalismo americano (Mondadori, 2005), Ne ammazza di più la penna. Storie d’Italia vissute nelle redazioni dei giornali (Sellerio, 2014) e La notte in cui Mussolini perse la testa. 24-25 luglio 1943 (Neri Pozza, 2019). Inoltre ha realizzato numerosi documentari televisivi sulla Roma di Nerone, sulla Germania del Novecento e sulla Prima guerra mondiale.

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