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Con in copertina la riproduzione di un dipinto di Fritz Scholder, raffigurante un indiano che ha sulle spalle la bandiera americana, è stata pubblicata a cura di Giorgio Mariani una scelta di poesie e brevi brani in prosa di Sherman Alexie (con testo originale a fronte), tratti dai volumi The Business of Fancydancing (1992) e The Summer of Black Widows (1996), entrambi editi da Hanging Loose Press di New York.
Sherman Alexie, nato nel 1966 nella riserva indiana spokane a Wellpinit, nello stato di Washington, autore di otto libri di poesie, tre raccolte di racconti, due romanzi e due sceneggiature di film, è considerato uno dei più importanti scrittori statunitensi contemporanei, e la significativa immagine di copertina sembra rendere al meglio il dualismo - di cui Alexie si fa portavoce - tra la cultura originaria dei Nativi e quella che è stata loro imposta e da cui sono stati "avvolti" (Indian Wrapped in Flag si intitola il dipinto), fino al punto da decidere di portarsela volutamente e scopertamente sulle spalle, come un segno distintivo aggiuntivo, una componente ormai ineliminabile della loro personalità, storia e memoria. Lo stesso passaggio dalla tradizione orale tribale alla scrittura in lingua inglese, compiuto vari decenni orsono da parte degli intellettuali indiano-americani, testimonia la loro presa di coscienza dell'avvenuta inscindibilità delle due culture e la necessità che il loro messaggio sia capito da entrambe per salvare dall'oblio l'eredità storica e mitologica del proprio popolo e far conoscere la propria testimonianza.
Nelle poesie di Sherman Alexie, che per definizione dell'autore nascono dalla "rabbia" e si nutrono dell'"immaginazione", il lettore implicito è sia indiano che bianco, come in Evolution, dove un Buffalo Bill dei nostri giorni apre un banco di pegni nella riserva e dopo che gli indiani, pur di comprarsi da bere, hanno impegnato tutti i loro averi - e persino l'essere (il "cuore") - "chiude il banco dei pegni, ricopre la vecchia scritta con una nuova // chiama la sua impresa museo delle culture native americane // e fa pagare agli indiani cinque dollari per l'ingresso". Come si può notare da questo piccolo esempio, e come mette in evidenza Mariani nell'ampia e documentata postfazione, i versi di Alexie sono animati da "un forte impulso narrativo" quasi a voler abbattere le distinzioni tradizionali tra prosa e poesia per rivendicare una sostanziale affinità di quest'ultima con l'arte dello storytelling. E dell'arte di "contar storie" o, se si vuole, di "cantastorie" Alexie è maestro, non solo per il sapiente uso della ripetizione e della rimarcatura spesso enfatica dell'elemento reiterato, o per il ritmo che sa imprimere alle sue composizioni, o per il finale frequentemente a sorpresa, ma anche per certi squarci di umorismo, e per l'ironia che permette al poeta dai "due cuori" di mantenere la giusta distanza nel denunciare le degradazioni di entrambi i mondi e gli stereotipi fioriti intorno alla figura del selvaggio e al rapporto tra le due razze ("Come scrivere il grande romanzo indiano-americano").
In alcune poesie prevale la vena lirica, altre volte è un tono beffardamente tragico a prendere il sopravvento. All'immagine dell'America assetata di sangue si accosta, in Dentro Dachau, quella dell'Olocausto. Di fronte all'orrore del gelido campo di sterminio il poeta non riesce a provare, come si sarebbe aspettato, "emozioni semplici: odio, rabbia, dolore"; la sua mente si sposta d'istinto sui tanti genocidi della storia e immagina parellelismi e opposizioni tra l'essere ebreo e l'essere spokane mentre ossessivamente ripete: "Non ho nulla di nuovo da dire sulla morte". È come se il dolore di fronte allo spettacolo di un "teatro che non chiuderà mai" sia tanto intenso da intorpidire ogni reazione, come se il freddo abbia congelato ogni lacrima: "Mi chiedo quale popolo accenderà i prossimi fuochi // e quale popolo sarà in breve trasformato in fumo. // Dachau era così fredda che riuscivo a vedere il mio fiato. // Non ho nulla di nuovo da dire sulla morte".
Ma la variegata scelta offertaci da Giorgio Mariani include anche poesie che permettono di mettere in luce un aspetto particolare dell'immaginazione di Sherman Alexie, impegnato, come dice lo stesso curatore, "nella delicata operazione di riscrivere una storia americana nella quale gli indiani entrano a pieno titolo, e dialogano da pari a pari con gli altri protagonisti della vicenda nazionale". La galleria dei personaggi della cultura bianca menzionati da Alexie comprende Emily Dickinson, James Dean, Janis Joplin, D.B. Cooper, JFK e Oswald, Shakespeare e così via fino alle prostitute uccise nel 1892 dal famigerato Jack lo squartatore. Alcuni dei più famosi tra gli americani sono chiamati come per incanto ad interagire con il mondo indiano e in esso trovano bellezza (Walt Whitman), conforto (Marilyn Monroe), o ammirazione (Fred Astaire), a significare che il contatto tra le due culture è stato ed è bidirezionale e che, come l'indiano si è in parte americanizzato, così l'America dell'uomo bianco non è mai stata, e non è, immune dal processo di "indianizzazione", un processo produttivo e altamente caratterizzante della sua identità.
C. Bartocci insegna letteratura americana all'Università di Perugia
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