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Siamo arrivati all'ultimo Libro del Pentateuco che appartiene alla tradizione deuteronomista. La scuola deuteronomista ha un un lungo percorso, si tratta di studiosi già attivi nel regno del Nord, in aperta polemica contro le nefandezze idolatriche dei loro sovrani. Con la distruzione di tale regno ad opera degli assiri, essa trova riparo nel regno di Giuda, all'ombra del re Ezechia ma soprattutto del re Giosia con la sua riforma religiosa, dopo che si è scoperto nel tempio la parte essenziale del libro in oggetto. Il re Giosia è considera pertanto da tale scuola la grande figura regale che prosegue in tutta la sua dignità lo stile di Davide. La scuola proseguirà la sua attività anche durante l'Esilio. Il Deuteronomio non è un una seconda Legge, ma la reiscrizione della Legge e dell'Alleanza perché sia chiara a tutti gli esiliati affinché ricordando Dio possano intraprendere la speranza della loro salvezza. In questo senso il Libro ha una tonalità più calorosa (Ravasi), Dio si rivolge dando de tu o del voi a seconda dei casi. Clifford commenta seguendo i quattro discorsi di Mosè, ciascuno suddiviso in varie sezioni per articolare meglio l'analisi e per sottolineare le differenze che intercorrono rispetto all'Esodo, Levitico e Numeri. Nel Secondo discorso 27,1-26 si ha la cerimonia a Sichem al momento di entrare nella terra promessa. Nel terzo discorso Mosè parla della circoncisione del cuore, cara ai Profeti, concludendosi con il Cantico. Nel quarto discorso seguono le benedizioni per ciascuna tribù e la morte di Mosè, che non può entrare in Canaan perché fu messo alla prova-combattuto a Massa/Meriba, Es 17,1-7, Nm 20,2-13. L'opera di Clifford è un'ottima introduzione e commento, e leggendola tenendo a fianco il Deuteronomio, come lui stesso non manca di avvisare il lettore, diventa davvero una lente di ingrandimento per approfondire e meditare il Testo Sacro.
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