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La guerra di Etiopia, con cui Mussolini intendeva plasmare un tipo nuovo di italiano, l'italiano fascista, imperialista, e civilizzatore, fu un'impresa al tempo stesso propagandistica e militare. La sua "mediatizzazione" è al centro di questo documentato lavoro di Bricchetto che ne ricostruisce il percorso (dalla preparazione all'uso retorico che di quella esperienza il fascismo fece negli anni immediatamente successivi), analizzando il ruolo svoltovi dal "Corriere della Sera" di Aldo Borelli. Alla costruzione della "notizia Etiopia" il regime dedicò infatti grandissima attenzione, manipolando sistematicamente le informazioni, che venivano elaborate da più centri di potere - esercito, ufficio stampa in loco, Ministero delle colonie e Ministero della propaganda - prima di essere diramate agli organi di stampa, su cui veniva esercitata una continua pressione attraverso dettagliate disposizioni. Il primo anello di questa sofisticata "catena" era rappresentato dagli inviati di guerra, il cui ruolo si riduceva per lo più nell'aggiungere un po' di colore esotico alle informazioni standardizzate diffuse alla stampa, di volta in volta esaltando le virtù guerriere o quelle civilizzatrici dei militari italiani. Spesso al seguito delle truppe, quando non arruolati essi stessi, ma impediti a muoversi liberamente, i corrispondenti del "Corriere" (Pavolini, Tomaselli, Barzini jr, per citarne alcuni) si adeguarono spontaneamente alle richieste del regime, rimuovendo dai propri articoli ogni cenno alle difficoltà militari, pure incontrate dall'esercito italiano, e alle reali condizioni del paese. Si trattò di un atteggiamento di consapevole autocensura, certo alimentato dal carrierismo dei singoli e dalla concorrenza fra le diverse testate, ma dettato anche da una sostanziale adesione agli obiettivi propagandistici del conflitto.
Cesare Panizza
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