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Negli anni cinquanta e sessanta, il rapporto fra Pci e intellettuali venne a strutturarsi attraverso una complessa dialettica: se infatti il primo, nel quadro della guerra fredda, mirò a un serrato controllo dei secondi, questi cercarono, invece, e non di rado, di conciliare in sé la natura dei liberi pensatori con quella dei combattivi sostenitori di un ideale. In questo studio di notevole interesse (seppure non ineccepibile sotto l'aspetto formale), viene ripercorsa tale delicata fase. Furono infatti gli anni della "cultura nuova", promossa dai comunisti, e delle sue interne contraddizioni, debolezze, resistenze. Alla nascita della Commissione culturale si contrapposero le prese di posizione poco ortodosse di Eco, Arpino e Pasolini; Italo Calvino, uscito dal Pci nel 1956, venne poi osteggiato da Ferretti e Salinari in nome della battaglia per l'arte realistica. Di lì a poco si sarebbe dato corso agli attacchi contro Boris Pasternak. Nell'ambito dello spettacolo, anche il cinema americano finì nel mirino della critica ideologica di Trombadori e altri, per non parlare dei Beatles o di Claudio Villa, benché il cantante romano fosse tra i più amati dagli elettori comunisti: ma era inevitabile che gli intellettuali preferissero il gruppo dei Cantacronache, così raffinato e impegnato. L'autore vede in quel decisivo decennio una grande "effervescenza interna" per la galassia comunista unitamente a sforzi sostanzialmente inutili, quando non maldestri (compiuti dalla dirigenza del Partito come dagli intellettuali più fedeli alla linea), di condizionare politicamente un intero contesto culturale, il che è per definizione impossibile. Daniele Rocca
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