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Il volume analizza l'editoria cattolica di larga circolazione tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta dell'Ottocento: una produzione di libri e opuscoli destinata a un pubblico laico medio-basso, caratterizzata da costi contenuti e facile fruizione e il cui scopo era quello di propagare la fede cattolica contro i libri "cattivi", prodotti da nemici esterni e interni della chiesa (liberali, socialisti, eterodossi). La sua nascita non risalirebbe agli anni settanta, secondo una tesi accreditata, bensì agli anni cinquanta, in particolare al biennio 1849-50, quando la chiesa fu spinta all'apostolato attraverso la stampa dal consolidarsi del regime liberale e dalla perdita di ruolo nel campo della censura libraria. Contò poi l'esautorazione del suo potere temporale, nonché la declericalizzazione delle istituzioni scolastiche.
Nata per orientare l'opinione pubblica sui percorsi indicati dal papato, questa produzione derivava da società per la diffusione dei buoni libri, e fu a lungo estranea alla logica del profitto (da segnalare la distribuzione gratuita dei testi). Essa conobbe comunque un'evoluzione grazie all'Opera dei congressi (1874), la cui azione di coordinamento nazionale pose fine alla dimensione locale e spontaneistica delle prime associazioni e collane editoriali. Gli anni settanta-ottanta videro infatti un notevole incremento dei titoli (del 42 per cento dal 1861 al 1880) e delle tirature e uno sforzo significativo per comunicare con un pubblico davvero "popolare". Dalle traduzioni e ristampe della metà del secolo (catechismi, vite di santi, istruzioni morali) si passò alla pubblicazione di opere originali, secondo un processo di "narrativizzazione" della letteratura religiosa e di diversificazione dei generi letterari e dei destinatari (donne e operai soprattutto), mentre alla conduzione artigianale subentrò una gestione industriale. Esemplare la vicenda di don Bosco, dalla cui tipografia, annessa all'oratorio salesiano, uscì la collana "Letture cattoliche", che negli anni ottanta stampava circa ventimila copie a volume.
Merito dell'autrice è quello di portare alla luce, tramite lo spoglio sistematico della rivista gesuitica "La Civiltà cattolica", una grande quantità di opere condannate all'oblio perché escluse dai repertori bibliografici per la loro supposta scarsa dignità culturale. Sul piano interpretativo, va detto tuttavia che non convince l'ipotesi secondo cui "i pregiudizi circa una presunta arretratezza della Chiesa italiana e una persistenza di un atteggiamento di chiusura nei confronti dell'accesso alla lettura delle classi popolari vadano ridiscussi, se non, addirittura, ribaltati". Discutibile l'idea che la chiesa abbia profuso energie per ampliare il numero dei lettori e "anticipato i tempi" rispetto all'alfabetizzazione e che abbia svolto un ruolo centrale nell'"apertura al narrativo e al romanzesco modernamente intesi". Pare, invece, che la chiesa, lungi dal promuoverlo, si sia piuttosto adattata a un processo inarrestabile, innescato dalle prime leggi sull'istruzione (Casati, 1859; Coppino, 1877), volgendolo ai propri fini e continuando a scorgere nella lettura uno strumento utile a riconquistare coscienze soggiogate dalla stampa liberale e socialista, più che a promuovere l'alfabetismo in se stesso.
Patrizia Delpiano
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