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Il libro è interessante perchè dà conto dell'impegno di tanti religiosi, e non, per fare il possibile al fine di salvare ebrei e non solo. Personalmente penso che, con le armi a sua disposizione, il Papa abbia cercato di fare il massimo di quanto era nelle sue possibilità. In alcuni momenti avrà anche sbagliato o sottovalutato le circostanze, ma penso anche che aveva armi impari verso una potenza straordinariamente armata e straordinariamente irrispettosa dei trattati che anche lei aveva firmato o, anche degli accordi che aveva preso, tanto è vero che quasi sempre li disattendeva. Non credo che il Papa potesse fare di più, e se avesse potuto farlo ne avrà risposto alla sua coscienza
libro interessante, senza alcun dubbio. Eppure di parte: la salvezza di Roma non poteva valere i milioni di esseri umani sterminati nelle camere a gas e le centinaia trucidati alle Ardeatine. Il 24 marzo del 44, il giorno dell'eccidio, il Papa intervenne attaccando, more solito, i bombardieri alleati ed invitandoli ad allontanarsi dai cieli della città eterna: ma non una parola sull'orrore che di li a poche ore si sarebbe perpetrato. E di cui era perfettamente a conoscenza. In nessuno degli interventi del Papa c'è stato alcun riferimento chiaro, aperto, documentato alla immane strage di esseri umani che avevano come unica colpa quella di professare una religione diversa da quella cristiana. E lui sapeva bene, oh se sapeva...Ha salvato Roma, dicono alcuni. Bene, diciamo pure che ha salvato Roma: ma a che prezzo? Riccardi sostiene che il Papa, il Vaticano, i conventi e le strutture ecclesiastiche non avevano alcuna presa sui tedeschi e che, di conseguenza, qualunque intevento manifestamente accusatorio sarebbe stasto inutile o, peggio, dannoso. Sbagliato: Dollmann, che era uno dei pochi tedeschi non completamente votato al male, si recò immediatamente da Pio XII non appena capì quali erano le intenzioni di Kappler (e di Himmler e di Hitler)per sollecitare un suo intervento...che non ci fu. Non raccontiamoci storie: il Papa ed i suoi colpevoli silenzi hanno fatto la storia. In ogni caso il libro merita di essere letto, davvero.
Questo libro, che si colloca decisamente in controtendenza rispetto ad una nutrita bibliografia che condanna apertamente la chiesa (da vedere anche il film "Amen"), grazie ad una buona documentazione, riscrive la storia dei rapporti di Pio XII con il nazi-fascismo a Roma. Quello che emerge, oltre alla tremenda confusione del dopo armistizio e al contrapporsi violento di idee diverse sulla situazione ebraica di Roma, è il ruolo del papa di Garante della inviolabilità di Roma. Il limite del libro non si riferisce tanto alla tesi di fondo, che potrebbe destare il sospetto di essere già stata acriticamente acquista dall'autore, ma a livello narrativo il libro è gravato da capitoli sfilacciati fra loro, che rendono questo saggio davvero poco organico con la conseguenza che la lettura che ne deriva è pesante (sicuramente l'argomento non aiuta) e a volte si scende fin troppo nei particolari delle storie individuali che nulla aggiungono al libro. Più adatto a chi scrive una tesi di laurea che a un'appassionato di storia contemporanea.Peccato!
Recensioni
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Più che a un dibattito, per partecipato che possa essere, stiamo assistendo al tiro alla fune tra apologeti e detrattori. Ne usciranno tutti sconfitti. È questa la sensazione che si ricava seguendo le bislacche, irritanti, maniacali e trasandate polemiche, pressoché quotidiane, sulla figura di Pio XII e sul suo magistero. Di storiografico oramai non c'è più nulla; di politico, invece, molto. Il nucleo centrale continua a essere costituito dalla condotta che il pontefice assunse nei confronti degli ebrei europei, perseguitati e deportati negli anni della guerra nazista. Di particolare intensità è poi la discussione sul destino degli "ebrei del papa", quella parte della comunità romana che fu rastrellata e deportata il 16 ottobre 1943. L'autore, noto studioso, nonché fondatore della Comunità di sant'Egidio, si sofferma su queste ultime vicende. E, nel complesso, quest'opera è dotata di un'intrinseca plausibilità. Il timbro intellettuale di Riccardi, che già aveva animato la ricca stagione di studi su Eugenio Pacelli negli anni ottanta, riemerge con felice costanza. Nella minuziosa ricostruzione di un microuniverso, quello della Roma "città aperta" in mano ai nazisti, dove agiscono e interagiscono figure molteplici (occupanti, occupati, perseguitati, mediatori, ma anche lupi grigi, ovvero opportunisti di ogni risma), ruota il destino delle vittime, ma anche il profilo degli altri protagonisti. La cifra euristica di Riccardi è nel segno della complessità, permettendoci di saltare a piè pari le facili stigmatizzazioni di ruolo (nonché le correlative deresponsabilizzazioni). E, a leggere certe pagine, pare, a volte, di essere in un film di Roberto Rossellini.
Claudio Vercelli
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