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Incontri con uomini di qualità. Editori e scrittori di un'epoca che non c'è più - Guido Davico Bonino - copertina
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Incontri con uomini di qualità. Editori e scrittori di un'epoca che non c'è più

Descrizione


Fra il 1961 e il 1977 Guido Davico Bonino ebbe l'occasione di dialogare e confrontarsi con colleghi, intellettuali, autori che oggi, a più di quarant'anni dai fatti narrati in questo libro, rappresentano il cuore della cultura italiana ed europea del Novecento. Montale, Pasolini, Morante, Sciascia, Gadda, Ginzburg, Fenoglio, De Filippo... Furono gli anni in cui, giovanissimo, Guido Davico Bonino lavorò all'Einaudi. Suo coach era Italo Calvino, con cui nei primi tempi condivise l'ufficio e che fu il destinatario delle sue molte domande, che spaziavano dai mestieri dell'editoria alle curiosità sugli scrittori che passavano da via Biancamano. Insieme a Calvino c'erano Giulio Bollati, fervido ideatore di sempre nuovi progetti editoriali, ma anche Norberto Bobbio, Massimo Mila, Elio Vittorini. Molti degli incontri che Davico Bonino rievoca in questo libro hanno l'aura di tante piccole epifanie, colme di sorprese e rivelatrici di aspetti singolari della personalità e dell'opera di "uomini di qualità": Adorno filosofo galante, Barthes analista e vittima della seduzione amorosa, Beckett cultore della pittura classica italiana, Fellini ossessionato dallo spiritismo, Ionesco nemico di qualunque ideologia, Nabokov cacciatore e collezionista di farfalle, Foucault maieuta degli studenti ribelli, Perec uomo-labirinto di sogni e ricordi, Queneau infaticabile vagabondo nel cosmo della scrittura, Marguerite Yourcenar aristocraticamente simpatizzante per il Maggio '68.
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Dettagli

2013
10 ottobre 2013
387 p., Brossura
9788842818571

Voce della critica

  Questo volume allarga il raggio (e approfondisce il taglio) dei ritratti che già erano comparsi in Alfabeto Einaudi uscito da Garzanti nel 2003. Sapiente di pause e sorprese, di dialoghi (ricreati) e di attese (corrisposte), magari a tratti un po' sovrappeso per esuberanza di carattere, ma del tutto corrispondente al detto latino hominem pagina sapit, la scrittura di Davico trova qui una perfetta consonanza di intenti e di dettato. Tra i tanti volumi, antologici e non (di saggistica e di storiografia soprattutto teatrale) che Davico ha scritto, è forse questo il libro più suo, più interamente suo: il libro (a non voler essere troppo enfatici) di una vita di lavoro passata per un buon tratto al torchio editoriale di un uomo di genio più ancora che d'ingegno come Giulio Einaudi, con cui Davico mostra di avere intrattenuto il rapporto più splendidamente controverso della sua vita intellettuale e professionale (del "divo Giulio" un ritratto per frammenti, qua e là saltellante e saettante, che basta la Postilla a testimoniare). Prima che una galleria di ritratti, il libro potrebbe essere letto tra le righe come l'autoritratto psicologico e intellettuale del suo autore: un'"autobiografia per ritratti interposti", volendo parafrasare quanto Davico dice a proposito delle antologie di personali letture che Bollati aveva chiesto ad alcuni scrittori di preparare (viene da lì ad esempio, La ricerca delle radici di Primo Levi). Ecco dunque farsi strada la voracità (di libri), la curiosità intellettuale, la passione e l'impazienza di conoscere, la denuncia di certe debolezze: sfacciato, gaffeur, impertinente, un po' manicheo, un po' "professorino" (il "côté professorino" di cui parlò per lui Calvino), poco o niente intuitivo, di scarna o scarsa immaginazione, in certi casi non indenne da "viltà". Ma anche il riconoscimento di certe virtù: preciso, ordinato, economo, puntuale, memorioso, antiteorico, antiretorico, concreto, chiaro, diretto, polemico. Per non dire dell'orrore del perdere tempo che è compagno di una strepitosa capacità di lavoro, dote corrispondente alla dichiarata e più volte convocata "piemontesità", di cui fa parte (a proposito dell'entrata in Einaudi) l'immancabile understatement di un'ammissione cruciale: "io m'apprestavo, con scarsi meriti per la verità, a entrare in questa eletta schiera". Che fa buon paio con la prontezza a presentarsi in una circostanza speciale come non più che "il quarto violino" di ben scelta orchestra. Tantissimi i ritratti (113 se non ho contato male), da Adorno a Yourcenar, passando per Antonioni, Foucault, Gadda, Levi (Primo e Carlo), Mila, Miller, Pasolini Queneau, Sereni, e così via. Primi fra tutti i sodali dell'Einaudi, da Calvino a Vivanti, sostando forse più a lungo e con più lungo affetto su Giulio Bollati, a cui è destinato il più bel movimento della numerosa sinfonia. Poi i sapienti (i savants, i maestri di color che sanno) da Cantimori a Vittorini, da Contini a Dionisotti, da Muscetta a Pavese. E infine la più fitta schiera degli invitati al banchetto di un catalogo di favolosa fattura, costruito attraverso scelte mirate ma qualche volta anche per grazia (e a volte dannazione) di guizzi casuali che sparigliano tattiche e strategie. Così facendo, Davico racconta, sì, il catalogo come risultato di articolati esercizi di avvistamento, di proposte, di analisi incrociate, di ponderate riflessioni e di intelligenti e meditate acquisizioni, ma anche come il frutto dell'istante, della forza a volte perversa del destino, del classico coup de dés che non abolirà mai l'hasard (e in questo senso il ritratto del "simenoniano" Gaston Gachet è una finissima interpretazione di due parti che non si parlano se non in un equivoco di dialoghi impossibili). Aneddota, dialogista, moralista (in senso classico), Davico non manca certo di arguzia, ironia, e anche autoironia (evidente quest'ultima nel ritratto di Natalia Ginzburg, che a fronte di un'eloquenza di boccacciana testura oppone la ben più eloquente ragione del sopore invincibile da cui la signora è presa in un dopocena non privo di qualche imbarazzo). Fervida pinacoteca di ritratti verbali, elegante quadreria di parole, ekphrasis di volti e di figure, che Davico disegna, cesella, scolpisce, mostrando particolari riguardi per gli uomini della sua passione dominante che è il teatro (tanti i convocati, da Beckett a Eduardo, da Brecht a Kezich, da Pinter a Genet, da Testori a Gerardo Guerrieri, senza dimenticare Ionesco). Fino al pungentissimo cammeo della "bellissima Veronica Lario" alla prima torinese del Magnifico cornuto (21 novembre del 1979) che non mostrò d'essere propriamente una grande attrice. Galleria di defunti. Galleria di viventi. Non tanto o non solo perché viventi nelle loro imprese, ma viventi (almeno per un momento) in questo salone degli "antenati", in questo alfabetiere di elevato alfabetismo. Una vera e propria "vertigine della lista": persone qualche volta insopportabili, persino antipatiche, ma capaci di rivelare a tratti qualcosa di decisivo. Vertigine, dunque, e dubitose verità: come nel caso emblematico e non poco ambiguo di Lacan, genio o circense.   Giovanni Tesio  

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Conosci l'autore

Guido Davico Bonino

1938, Torino

Guido Davico Bonino è critico letterario e teatrale. Ha insegnato prima Storia della letteratura contemporanea e poi Storia del teatro alla Facoltà di lettere dell'Università di Torino e ha collaborato con La Stampa. Ha svolto anche l'incarico di direttore dell'Istituto di Cultura Italiano a Parigi. Ha ideato e condotto programmi radiofonici e televisivi ed è autore di libri per adulti e ragazzi. Ha lavorato in Einaudi dal 1961 al 1978, restando anche in seguito tra i collaboratori della casa editrice torinese.

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