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Il tuo nome sulla neve (Gnanca na busia) - Clelia Marchi - copertina
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Descrizione


Settant'anni, molti ricordi, un solo amore. Può capitare che si perda quell'unico amore e che venga voglia di scrivere. Per sanare la ferita, sfogare la rabbia, colmare il tempo vuoto. Si riempiono fogli, quaderni, ma la carta non basta ancora. Allora capita di aprire un armadio e di prendere un lenzuolo bianco dal corredo, uno di quelli che non si useranno più per riposare, per amare. E ci si rovescia sopra tutta una vita. Si torna alle origini, umilissime, quando si andava a scuola solo d'inverno, con gli zoccoli ai piedi e un cappotto rammendato. Quando si mangiava solo polenta, ché di pane ce n'era poco. Nel resto del tempo bisognava lavorare la terra, seminare, raccogliere. E prepararsi alla guerra, con lo straniero in casa, le tessere al mercato, i muri crivellati, la paura delle bombe e del padrone. Ad alleviare la fatica, l'amore per i figli, quelli allevati e quelli persi. E per un ragazzo dagli occhi azzurri, conosciuto a quattordici anni e sposato a diciotto. Questa è la storia semplice e straordinaria di Clelia Marchi, "gnanca na busia". Quando il marito muore in un incidente, Clelia è già anziana e inizia a trascrivere la storia della sua vita su un lenzuolo a due piazze, distillata in righe numerate, perché non si perda nulla di quel racconto "sul filo della sincerità". Prefazione di Carmen Covito.
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Dettagli

2014
4 dicembre 2014
128 p., Rilegato
9788842820543

Valutazioni e recensioni

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Silvia
Recensioni: 4/5

Intorno e insieme a questa storia di sentimenti, intima e tanto più commovente per i modi spontanei in cui ci viene rivelata, vediamo dipanarsi la vicenda delle difficoltà della famiglia, del lavoro nei campi, della miseria, della società in cui il marito, essendo capofamiglia, comandava lui, “e quello che diceva il marito era valido per tutti”. Con pochi tratti precisi, l’anziana narratrice ci spalanca un’ampia illustrazione di quel mondo contadino di povertà, di stenti, di fatiche inumane. Ha scritto cose che lei stessa non riesce a leggere «senza che mi cadono le lacrime» però sono cose che fanno parte di lei, e le ha scritte perché chi legge possa comprendere come erano quei tempi che oggi sembrano troppo duri per essere stati possibili. “C’è nera di cose che non sarebbe neanche dà ricordare: all’ora si era come le pecore: si stava nel recinto: adesso anno troppo tutto. Eravamo persone per bene: con tanta voglia di lavorare <e l’onestà era tutto> pure siam stati sotto i padroni più di .50. anni quindi più della meta della vita e non e poco”. Le scene della vita nelle cascine, descritta per episodi e dettagli, ben meritano l’orgogliosa rivendicazione della testimone che ci offre una documentazione di prima mano sulle famiglie contadine e sui rapporti tra salariati agricoli e padroni nella prima metà del Novecento. Per raccontarne tutte le sofferenze, la penuria, i momenti di piccolo benessere, la felicità sempre così difficile, «ci vorrebbe un lenzuolo largo, lungo come il mare» dice Clelia. Ma anche nei poco più di due metri per due di questo memoriale a due piazze ci sta molto, moltissimo davvero. Quello che dice è che, nella vecchiaia, la muove il desiderio di salvare la memoria del suo uomo, di se stessa, dell’amore per lui, della tristezza della separazione che che la fa sentire “come una vite senza l’albero” e le fa scrivere poesie da adolescente con il cuore spezzato a settant’anni Leggetelo, è un libro sincero e di una tenerezza infinita 🥺

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massimo cortese
Recensioni: 5/5

Non è necessario avere otto lauree per condurre una vita operosa, meritevole di essere raccontata con la passione che ha sempre caratterizzato la sua presenza nel mondo: a lanciare il messaggio è Clelia Marchi, autrice di questo libro, per certi versi, unico. E non è neppure indispensabile saper leggere e scrivere in lingua italiana per far parte a pieno titolo della Nostra Comunità Linguistica: questo libro è infatti scritto in un Italiano pieno di errori, dall’inizio alla fine, ma sa trasmettere sensazioni e stati d’animo che difficilmente potevano essere comunicati in modo diverso. La lingua di Clelia è un’altra cosa rispetto ai canoni dell’Accademia della Crusca; le persone di cultura non debbono sentirsi offese, ma onorate dalla vivacità espressiva dell’anziana donna, che ripercorre tutta la sua vita, un’esistenza dura e difficile, fatta di privazioni e rinunce, di gioie e dolori. La particolarità di questo testo consiste nel fatto che la scrittura di Clelia è stata eseguita su un lenzuolo, che probabilmente faceva parte del corredo di cui ogni fanciulla, anche la più povera, disponeva in occasione del matrimonio. In fondo, Clelia è stata una donna fortunata, in quanto suo marito ha rappresentato per lei il grande amore della sua vita, ed è appunto nell’elaborazione del lutto conseguente alla scomparsa dell’uomo, a seguito di un incidente stradale, che nasce in lei l’esigenza di scrivere, pur avendo frequentato soltanto la scuola elementare fino alla seconda classe. Questo libro è depositario della grande saggezza contadina. A mio avviso, è una sorta di “Albero degli zoccoli” al femminile; ci trasmette la grande eredità di quel patrimonio di valori che ha costituito la spina dorsale della nostra Comunità. La Società deve tutto alla Civiltà Contadina, di cui Clelia si onora di far parte: leggere, riflettere e commuoversi con le pagine di questo libro significa rendere omaggio al nostro passato, al nostro presente e al nostro futuro.

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Monica
Recensioni: 2/5

La storia è autentica, ma ripetitiva e noiosa, vita grama e dolori, ma non è questo il punto, lìho trovato difficile da leggere, tutti quegli errori distolgono dal filo logico e dalla comprensione della storia. Mi aspettavo qualcosa di diverso

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